- Titolo: Conversione di san Paolo
- Autore: Filippo Mazzola
- Data: Ultimo decennio del XV secolo
- Tecnica: Tempera su tavola
- Dimensioni: 156 x 130
- Provenienza: Cortemaggiore, convento di San Francesco
- Inventario: GN51
- Genere: Pittura
- Museo: Galleria Nazionale
- Sezione espositiva: Deposito
Alla fine del ’700 Affò e Baistrocchi ricordano il dipinto nel dormitorio del convento dei Francescani a Cortemaggiore e ancora leggono nel piccolo cartiglio raffigurato in basso a destra la firma di Filippo Mazzola e la data 1504, oggi scomparse. La tavola passò quindi all’Accademia parmense di Belle Arti, come attesta l’inventario redatto nel 1852, ove si conferma la provenienza da Cortemaggiore. Il soggetto risulta peraltro del tutto consono a questa originaria collocazione, in quanto fu proprio nel giorno della conversione di san Paolo, il 25 gennaio, che nel 1499 venne solennemente consacrata la chiesa del convento, dedicata alla Santissima Annunciata ed eretta per volontà della famiglia Pallavicino (Flaminio da Parma, Memorie Istoriche delle chiese e dei conventi dei frati minori…, 1765, I, pp. 240-245).
Non a caso ancora nel 1723 (Informazione del Convento di S. Francesco fatta dal Padre Giovanni Paolo di Parma l’anno 1723, Archivio di Stato di Parma, Conventi, b. 7) una delle cappelle della navata destra era intitolata alla Conversione di san Paolo e sul suo altare era un dipinto forse identificabile con questo, che potrebbe anche legarsi a una diretta committenza Pallavicino; non va dimenticato che nella chiesa collegiata di Cortemaggiore si conservano altre nove tavole del Mazzola, cinque delle quali costituiscono un polittico firmato e datato 1499 raffigurante la Madonna col Bambino e santi, cui si aggiungono quattro figure di sante prive dell’elemento centrale (Quintavalle 1948a, pp. 7-8). Anche in questo dipinto la lettura è resa problematica dal cattivo stato di conservazione, essendo la superficie pittorica estremamente impoverita e lacunosa, dopo che i restauri hanno eliminato le pesanti ridipinture che l’alteravano quasi interamente ancora nei primi decenni del nostro secolo. Mazzola affronta in questo caso una composizione di figure all’aperto, realizzando un dipinto caratterizzato da discreta correttezza disegnativa, varietà e accuratezza nei dettagli, costruzione sufficientemente articolata del paesaggio, ma tale da evidenziare anche alcuni forti limiti del suo fare pittorico: i personaggi risultano piuttosto rigidi negli atti ed espressivamente stereotipi, mal risolto lo scalarsi in profondità dei piani come del resto il rapporto tra figure e sfondo. Quegli aspetti poi che Quintavalle (1939a) definisce “venezianismo di provincia e romana parata” possono essere messi in relazione al frequente utilizzo da parte del pittore di figure ed elementi tratti dalle opere venete che costituiscono i suoi costanti modelli di riferimento; Lucco (1990) ipotizza che Mazzola, durante il suo soggiorno a Venezia dei tardi anni ottanta, abbia avuto accesso nella bottega del Bellini a cartoni di opere più antiche, dal momento che nella Resurrezione di Cristo conservata a Strasburgo, firmata e datata 1497, copia direttamente quella del maestro veneto oggi a Berlino, e nella Conversione di san Paolo ancora ne cita il soldato di spalle davanti al sepolcro, riproposto sulla sinistra. Ma anche la rocca sull’altura è una ripresa puntuale di quella raffigurata sullo sfondo della Madonna davanti al castello, nelle due versioni della Kress Foundation e della National Gallery di Londra (Heinemann 1962, figg. 72-73), come pure di matrice veneta sono i costumi all’orientale degli astanti e la morfologia del paesaggio collinare (memore forse anche del Montagna), arricchito coll’inserimento dell’elemento urbano della città murata, ove l’alto edificio di forma circolare è stato identificato un po’ fantasiosamente come Castel Sant’Angelo (Ricci 1896). Ed è proprio il paesaggio a manifestare ancora una volta come quella del pittore parmense sia soprattutto una desunzione di forme, che non riesce in sostanza a riproporre il carattere evocativo della natura del Bellini o di Cima: le figure risultano schierate in un vicinissimo primo piano, proiettato più che collegato col fondo, non riuscendo a fondersi coll’atmosfera, le linee ondulate delle colline e dei sentieri dei dipinti veneti diventano geometricamente regolari e schematiche, gli alberi e la vegetazione risultano privi di morbidezza e soprattutto le campiture di colore paiono assai uniformi, lontane dal delicato tonalismo dei modelli (aspetti questi peraltro aggravati, come si è detto, dalle cattive condizioni del dipinto).
Se Quintavalle (1939a) sottolinea le affinità della tavola con la Deposizione di Capodimonte – datata 1500 – Lucco (1983) propone una datazione anche anteriore, ma non vi è forse fondato motivo per mettere in dubbio la notizia riportata dalle fonti, anche in considerazione di una certa politezza nella definizione di San Paolo, delicato nel volto ed elegante nel gesto, accostabile ai modi delle sue opere tarde e forse vagamente avvertito delle novità protoclassiche.