Fra il 1762 e il 1763 la Confraternita degli Umiliati affidò a Giuseppe Peroni la decorazione pittorica dell’oratorio della Madonna di Capodiponte (Da Mareto 1978, pp. 121-122), comprendente un ciclo di affreschi con la Glorificazione del Santissimo Nome della Vergine (cfr. scheda precedente) e le pale per ognuno dei tre altari.

Sul maggiore, in continuità col programma iconografico degli affreschi, venne posta una tela raffigurante la Madonna col Bambino e san Bonaventura che scrive su un libro “Mariae nomen gloriosum”; sugli altari di destra e di sinistra vennero rispettivamente collocati un San Giuseppe col Bambino e i santi Antonio e Giovanni Nepomuceno e la nostra Condanna di santa Lucia. La scelta dei santi da effigiare nel primo dipinto venne, forse, determinata dalla particolare devozione di cui godevano san Giuseppe e sant’Antonio presso la confraternita cui spettava la cura della chiesa e dall’ubicazione dell’edificio nell’immediata prossimità del torrente, contro la cui furia si immaginò di porre la protezione di san Giovanni Nepomuceno (a questo santo era pure dedicata un’edicola costruita fra il 1723 e il 1732 sul parapetto del vicino ponte di Pietra).

Per quel che riguarda la nostra Condanna di santa Lucia esiste, probabilmente, un nesso iconografico con la devozione mariana cui l’oratorio era legato, e in particolare con l’esaltazione dell’immacolata purezza della Vergine e della castità quale assoluto valore cristiano. Infatti, fra i molti episodi in cui la tradizione compone il martirio di santa Lucia (cfr. J. da Varagine, ed. cons. 1985 pp. 36-40), l’abate Peroni e i suoi committenti scelsero quello nel quale la santa, in contraddittorio con il console Pascasio dinanzi al quale era stata condotta a giudizio, riceve la grazia dello Spirito Santo e pronuncia la frase “Chi vive nella castità è il tempio dello Spirito Santo e lo Spirito Santo abita in lui… ecco il mio corpo è pronto ad ogni supplizio” che rende vano ogni strenuo tentativo dei carnefici di condurla al lupanare al quale il console stesso l’aveva destinata.

Tutti gli studiosi che si sono occupati di Peroni hanno indicato la tela in esame come una delle opere salienti della sua maturità artistica: in particolare Riccomini (1977a) la segnala per l’esplicito omaggio al classicismo di Pompeo Batoni, mentre Cirillo e Godi (1979b) la mettono in risalto per il debito con talune composizioni degli Anni trenta di Clemente Ruta ricche di “recuperate dolcezze correggesche e di eleganti linearità parmigianinesche” (Cirillo – Godi 1979b, p. 17). Particolarmente interessante è l’accostamento, proposto da Elena Paini (1987), fra il nostro dipinto e il disegno raffigurante il Martirio dei sette fratelli Maccabei con il quale Peroni vinse nel 1738 il premio di prima classe di pittura all’Accademia di San Luca a Roma: assai simili sono, in queste due opere tanto distanti cronologicamente, alcuni precisi elementi figurativi (l’architettura del podio su cui siedono i due giudici, i due giudici stessi, i due riguardanti posti alla destra delle vittime), ma soprattutto l’impianto compositivo generale che – come giustamente segnala la studiosa – denuncia un’esigenza di ordine ed equilibrio evidentemente radicata nel pensiero dell’abate parmense fin dagli anni dell’apprendistato romano e ancora ben salda in quelli della piena maturità.

Ordine ed equilibrio compositivo, decoro nella scelta e nell’interpretazione iconografica del soggetto, controllata misura nell’espressione dei gesti e dei movimenti, ossequioso rispetto della tradizione figurativa classicista, sia pure aperto alle più aggiornate e non esclusivamente locali espressioni della stessa: attorno a questi elementi ruota l’ideazione e la realizzazione non solo di quest’opera ma dell’intera produzione di Peroni, che conosce modestissimi segni di discontinuità e nessuna deviazione rispetto alle linee guida dell’ortodossia cattolica in materia di immagini sacre. A questo si aggiunga un “in più” di patetismo pietistico e oleografia devozionale (particolarmente riscontrabile nella figura di santa Lucia) imputabili, più che allo status di religioso di Peroni, ai desiderata di una committenza dedita a pratiche religiose ad alto contenuto rituale.

Bibliografia
Riccomini 1977a, p. 64;
Da Mareto 1978, p. 122;
Cirillo – Godi 1979b, p. 27;
Rota Jemmi 1979, p. 71;
Paini 1987, p. 244;
Barelli 1989, p. 828
Restauri
1991 (A. Pompili)
Patrizia Sivieri, in Lucia Fornari Schianchi (a cura di) Galleria Nazionale di Parma. Catalogo delle opere. Il Settecento, Franco Maria Ricci, Milano 2000.