Le figure in primo piano sono disposte lungo una linea che attraversa il dipinto diagonalmente. Dal profilo di Giovanni d’Arimatea, incassato nella penombra dell’angolo alto di sinistra, lo sguardo scende lungo il corpo del Cristo fino ai suoi piedi, dove è inginocchiata la Maddalena.

Col capo coronato di spine e reclinato sulla spalla, il Cristo giace seduto su un sarcofago di pietra. Il corpo, con gli arti incrociati, è sorretto da un giovane il cui volto in luce emerge dalla quinta buia di fondo. In un riquadro che si apre in alto a destra, Maria svenuta è soccorsa da una pia donna; più lontano, contro un cielo crepuscolare si stagliano le tre Croci sulla cima del Golgota.

Sul bordo sottile della lastra che dischiude il sarcofago corrono a caratteri romani la firma e la data del dipinto. Acquistato dallo Stato nel 1919 (Quintavalle A.O. 1939), se ne ignora la provenienza, e la scritta, sfuggita inspiegabilmente ai vari cataloghi della Galleria, assume una particolare rilevanza, specie nel percorso ancora oscuro dell’Amidano. Corrobora, anzitutto, il dubbio che sorge circa il suo nome di battesimo. Quello di Luigi Amidano, che si legge nell’opera in questione, è lo stesso nome col quale sono firmate le due grandi pale della chiesa di Santa Chiara di Casalmaggiore (Sacra Famiglia con i santi Antonio, Chiara e Francesca Romana e la Natività con santa Chiara) e il Cupido di collezione privata apparso sul mercato parigino col nome di Galanino nel 1987 e reso noto da chi scrive (Riccomini 1988, p. 135, tav. 2). L’assoluta coerenza di stile di questi quattro dipinti con il resto delle opere note, sommata all’assenza di riscontri archivistici, inducono a pensare che il nome di Giulio Cesare, col quale l’Amidano è stato fin dal ’700 conosciuto, sia frutto di un errore da attribuire ai suoi primi biografi. Che tutte e quattro le tele firmate siano anche datate nello stesso anno 1619 è poi una coincidenza singolare (l’acquaforte che il Campori dice firmata e datata 1650 non è rintracciabile).

Smorzato quel deciso contrasto chiaroscurale che nella Crocifissione di san Pietro della parrocchiale di Vigatto (1612) ci permette di affiancarlo, sia pure in posizione alquanto subalterna, allo Schedoni più alto e maturo, l’Amidano viene qui elaborando un linguaggio personale, equidistante sia dai modelli classici della tradizione emiliana che dagli esiti più aggiornati e spettacolari del celebre ciclo di Fontevivo. La morbidezza dei passaggi di luce, i colori non più vividi ma stemperati e l’arrotondamento dei panneggi segnano la distanza con la pala di Vigatto e lo Sposalizio di santa Caterina dell’oratorio dei Rossi, di soli tre anni precedente (1616).

Se il brano di paese, che dipende da ciò che si vede nei dipinti di piccola dimensione del Badalocchio, è cosa rara nel catalogo dell’Amidano, il profilo chino della Maddalena diventa invece sua sigla ricorrente, dalla santa Chiara nella Natività di Casalmaggiore alla piccola Madonna della Pinacoteca Nazionale di Cremona (cat. 215), già riferita allo Schedoni.

Bibliografia
Martini 1875, p. 4;
Pigorini 1887, p. 4;
Ricci 1896, pp. 154-155;
Quintavalle A.O. 1939, p. 62;
Bénézit 1948, I, p. 145;
Quintavalle A.O. 1948b, n. 142 p. 83;
Ghidiglia Quintavalle 1956b, p. 28;
Ghidiglia Quintavalle 1960, p. 793;
Ghidiglia Quintavalle 1971b, p. 25;
Frisoni 1986b, p. 82;
Riccomini M. 1988, p. 140;
Coccioli Mastroviti 1989, pp. 613-614;
Riccomini M. 1999, p. 80
Restauri
1951-52
Scheda di Marco Riccomini, tratta da Fornari Schianchi L. (a cura di), Galleria Nazionale di Parma. Catalogo delle opere Il Seicento, Franco Maria Ricci, Milano, 1999.