Come già per la Continenza di Scipione, anche il Cincinnato parmense trova valida anticipazione in Palazzo Maruccelli-Fenzi a Firenze, per la cui decorazione il Ricci si impegna con una lettera del 1 maggio 1706 (cfr. Daniels 1976a, p. 106).

Il ciclo pittorico riguarda cinque camere al pianterreno del palazzo e costituisce la più ampia e completa impresa decorativa ad affresco del Ricci, basata sull’antitesi fra vizio e virtù, fra male e bene, sicuramente sviluppata su suggerimento del committente, il canonico Orazio Maruccelli e conclusa entro l’estate 1707. L’impresa ebbe molto successo fra i contemporanei e viene considerata come l’origine del Rococò e una anticipazione dell’opera di Giambattista Tiepolo.

I due temi sono raffigurati nella seconda stanza del palazzo, e portano misure uguali (cm 195 x 265) più ridotte, quindi della redazione parmense, che, secondo la critica, dovrebbe essere stata eseguita in stretta successione all’impresa fiorentina tra l’autunno 1707 e il 1708, ristabilendo così una cronologia che per tutte le dodici opere già Panizza va dal 1685 circa al 1708 appunto, protraendosi per oltre vent’anni.

Le due redazioni del Cincinnato si basano sul racconto di Tito Livio, che ci descrive il personaggio, vissuto al tempo della prima Repubblica romana, il quale sa conciliare l’impegno civile, il valore militare e la modestia, alternando la carica di console e poi di dittatore e tornando, ogni volta, a coltivare la terra. È uno degli esempi più noti ed eclatanti di romana Virtus. La composizione parmense sembra più riuscita e matura, sia per la scioltezza delle pose, che per l’unitarietà e per la dilatazione della parte paesaggistica con la visione della città oltre il Tevere, ma anche per la maestria pittorica che dilata la tavolozza dai bianchi ai rossi, ai bruni ai cangianti, in un controluce di grande effetto. La retorica teatrale dei gesti contrasta con il brano naturalistico in primo piano e con la frugalità del pane e gli abiti rattoppati del protagonista, attributi regali, non di povertà, dato il soggetto trattato. Il Ruta (1740) valuta il dipinto 200 filippi.

Bibliografia
Derschau 1922, p. 51;
Pallucchini 1952, p. 70;
Ghidiglia Quintavalle 1972;
D’Arcais 1973, p. 21;
Rizzi 1975, p. 21;
Daniels 1976a, p. 106;
Daniels 1976b, p. 94;
Ceschi Lavagetto 1979, p. 28;
Fornari Schianchi s.d. [ma 1983], p. 28
Restauri
1973 (A. Santunione)
Mostre
Venezia 1929;
Parma 1972;
Parma 1979
Lucia Fornari Schianchi, in Lucia Fornari Schianchi (a cura di) Galleria Nazionale di Parma. Catalogo delle opere. Il Settecento, Franco Maria Ricci, Milano 2000.