- Titolo: Cattura di Cristo
- Autore: Antonio Allegri, detto il Correggio
- Data: XVI secolo
- Tecnica: Olio su tela
- Dimensioni: cm 67 x 54
- Provenienza: Parma, collezione Dalla Rosa Prati, 1851
- Inventario: 524
- Genere: Pittura
- Museo: Galleria Nazionale
- Sezione espositiva: Deposito
Nell’inventario (reso noto da Brown nel 1990 e ampiamente ripreso da Ekserdjian nel 1997) del 1569 della collezione di Gerolamo Garimberto, o Garimberti, di famiglia parmense, collezione ricca di copie e derivazioni da Correggio, compare al n. 192 una descrizione (“Un altro quadretto in tela, poco maggiore, d’un San Giovanni che fugge quando Cristo vien preso nell’orto, cavato dal Correggio”, Brown 1990, p. 203; Ekserdjian 1997, p. 172), che attendibilmente il secondo studioso connette alla nostra copia, anche per la collocazione parmense.
Dato importante inoltre perché si tratterebbe della prima citazione, connessa con decisione a Correggio, del soggetto di un’opera andata presumibilmente perduta (al tempo della mostra su Correggio a Parma nel 1935 [Catalogo p. 74], passava per originale la versione della collezione Frey a Parigi), priva di documentazione, e di cui si tratta solo per accenni nella letteratura storica sull’artista sulla base di una serie di copie e derivazioni. Lo stesso Mengs (1783, II, p. 175) a Roma deve aver visto la copia allora posseduta dalla famiglia Barberini, poi passata in Inghilterra, ma nonostante ciò, da grande amateur e connoisseur di Correggio coglie quello che poteva essere una perspicuità dell’originale: il carattere di ambiguità , anche sessuale, del soggetto.
Un soggetto iconograficamente desueto, entro la narrazione della Passione di Cristo (tratta da poche righe del Vangelo di San Marco, 14, 51-52), che mette in scena un giovane vestito solo di un drappo (da alcuni identificato con gli Apostoli adolescenti, Giovanni o Marco), che fugge ai soldati venuti per catturare Cristo, mentre sul fondo notturno si intravvedono Giuda che bacia Cristo e il coltello baluginante di Pietro che taglia l’orecchio a Marco. Un’opera certamente molto complessa e sofisticata anche dal punto di vista iconografico, un elaborato intellettualismo che situerebbe l’originale perduto dopo il 1530, al tempo delle ultime opere profane dell’artista. Datazione confermata dalle caratteristiche stilistiche che permangono, accentuate, nella traduzione che la nostra copia ci offre: forme che diventano androgine, snodate, tavolozza di colori accesi sullo sfondo notturno, spazio in diagonale che buca la tela sul fondo, ricchezza narrativa e luministica articolata sui particolari in secondo piano. Con un di più di pennellate sinuose e fibrose, di accensioni luministiche sui dettagli (si vedano anche l’elmo e l’armatura a larghi nastri rossi svolazzanti del soldato inseguitore), che, qualora si accetti la data ante 1569, potrebbe far rivisitare con nuove motivazioni l’ipotesi proposta dalla Ghidiglia Quintavalle (1968) sul nome di Girolamo Mazzola Bedoli (1500-1569), una tesi suggestiva tuttora ostacolata dallo stato di conservazione del dipinto, purtroppo gravemente impoverito nella materia e costellato da numerose cadute e lacune della pellicola pittorica.