Come gli altri dipinti di Spada della Galleria Nazionale, proviene dalla collezione Sanvitale, presso la quale già recava la corretta attribuzione all’artista bolognese.

È da notare come, al pari dei suoi compagni, venga corredato nell’Inventario generale corrente della annotazione “È databile al 1612 ca.”, della quale non si conoscono le ragioni.

Per quanto mi riguarda, per il dipinto in esame, e forse per la San Pietro rinnega Gesù (inv. 76, vedi scheda successiva), una datazione fra il 1612 e il 1614, al rientro dal viaggio a Roma e a Malta, è abbastanza credibile, anche per confronto con opere di quel periodo, mentre ritengo che le altre opere del gruppo vadano spostate in avanti, in contiguità con l’impresa della Ghiara e anche oltre.

Quanto al soggetto, generalmente inteso, anche da chi scrive, come Cristo trascinato al Calvario, è forse meglio interpretabile, per l’assenza delle ferite prodotte dalla corona di spine sulla fronte di Gesù e della Croce, come una Cattura di Cristo. Così lo intendeva anche il Foratti, che nella sua voce per il dizionario artistico di Thieme e Becker intitola l’opera Gethsemane.

Nel dipinto, fra i più noti dello Spada, l’artista sciorina intorno alla figura paziente del Cristo un bel campionario di giovani manigoldi, scamiciati o chiusi in corsaletti o cotte di maglia metallica. Dove non riesce a trovar spazio per una figura, vi inserisce almeno, in una sorta di horror vacui, un pennacchio, un elmo, frammenti di volti, che emergono a malapena in secondo piano.

Le tinte accese e varie sembrano concordare con l’affermazione del Malvasia (1678, ediz. 1841-1844, II, p. 79) che Lionello fosse “uno de’ più bravi coloritori che mai si vedesse”. Un trionfo di rosso carminio nel mantello dal quale emerge il candido torso del Cristo, di verde nei corsetti, di aranciati che squillano fin nella folta capigliatura del primo giovane a sinistra del dipinto.

Il contrasto fra l’esasperato patetismo di Gesù e le espressioni forzate e truculente dei suoi persecutori, unita a una certa frivolezza (si esagera con le corazze, i damaschi, i pennacchi, le morbide piume di struzzo), è eccessivamente ricercato per commuovere e il caravaggismo cui l’artista fa il verso è davvero troppo epidermico. Resta la capacità dello Spada di orchestrare per diagonali e con ricchezza d’impasto e di cromia un finto tumulto, buono ad arredare le stanze dei nobili e dei potenti col suo gioco calcolato di colori complementari e a soddisfarne le richieste di surrogati del Merisi. Del successo incontrato dall’opera è prova l’esistenza di diverse repliche. Il Nicolson (1989) segnala una copia (cm 132 x 180) venduta a Roma, presso Christie’s il 26 novembre 1986 (n. 84) e di nuovo il 16 novembre 1987 (n. 154, ripr.); ad altre fa cenno Lucia Fornari (1993). Una replica pressoché coeva all’originale ma con l’ampio intervento della bottega (tela, cm 125 x 170) è comparsa di recente sul mercato bolognese.

Bibliografia
Catalogo… 1835, inv. 28;
Martini 1872, p. 52;
Martini 1875, p. 14;
Pigorini 1887, p. 12;
Ricci 1896, pp. 77, 78;
Pelicelli 1906, p. 91;
Sorrentino 1931a, p. 31;
Foratti 1937, p. 318;
Quintavalle A.O. 1939, p. 79;
Ghidiglia Quintavalle 1960, p. 27;
Moir 1967, p. 238, fig. 307;
Frisoni 1975, p. 65, tav. 55;
Nicolson 1990, p. 179, fig. 273;
Mazza 1991, pp. 136, 140;
Fornari 1993, p. 37, ripr. a p. 38;
Frisoni 1994, pp. 267, 274
Restauri
1995 (M. Parlatore)
Scheda di Fiorella Frisoni, tratta da Fornari Schianchi L. (a cura di), Galleria Nazionale di Parma. Catalogo delle opere Il Seicento, Franco Maria Ricci, Milano, 1999.