• Titolo: Castel Gandolfo
  • Autore: Erminio Fanti
  • Data: 1848 ca.
  • Tecnica: Olio su tela
  • Dimensioni: 121,5 x 150,5
  • Provenienza: ignota; attualmente in deposito presso la Prefettura di Parma
  • Inventario: Inv. 911
  • Genere: Pittura
  • Museo: Galleria Nazionale
  • Sezione espositiva: Deposito

L’Inventario generale della Galleria registra l’opera senza indicarne la provenienza, che rimane tuttora non documentabile. La tela non risulta, inoltre, citata in alcuno dei cataloghi della Galleria; inviata da Roma secondo Godi (Mecenatismo… 1974), essa è stata poi pubblicata da Tassi che la vide quando ancora si trovava in deposito a Piacenza (Tassi 1986). Rientrata a Parma nel 1985 essa è attualmente in deposito presso la Prefettura cittadina. Frequentando la Scuola di paese dell’Accademia parmense, avviata e guidata da Giuseppe Boccaccio, la formazione di Fanti avvenne in un clima di grande vivacità in cui, alla tradizione più marcatamente romantica di un paesaggio carico di forte patetismo contenuto compositivamente entro un solido impianto scenografico, il Boccaccio aveva avviato i propri allievi migliori al rapporto più diretto con la natura, indirizzandoli a dipingere sul vero in aperta campagna.

Fin dal 1844 troviamo Erminio Fanti impiegato dalla sovrana Maria Luigia per alcune commissioni: vedute extraurbane o studi di paesaggio non meglio precisati. Al concorso per il Gran Premio annuale di Paese del 1847, al quale partecipò insieme ad Alberto Pasini e Luigi Marchesi, Fanti si qualifica al primo posto ex aequo con Marchesi; il vincitore venne quindi estratto a sorte e Fanti ottenne il premio che gli garantì il pensionato di diciotto mesi a Roma. Come era avvenuto dieci anni prima per Giuseppe Drugman, Fanti si recò a Roma nel 1847, trattenendovisi fino al 1849, per dipingere i monumenti classici e le architetture rinascimentali e barocche, senza però tralasciare le escursioni nella campagna romana con i suoi celebri castelli; egli si trovò, anzi, coinvolto nelle drammatiche vicende della Repubblica romana del 1849 e si vide costretto a riparare a Tivoli. Come per il Drugman, così si conservano i fogli di un taccuino di disegni di Fanti datato 1848 (Battelli 1937), in cui si trovano, tra le altre, anche una veduta di Castel Gandolfo: lo stesso soggetto del dipinto della Galleria. Sebbene non sia documentabile in questa tela una delle esercitazioni che il pensionante era tenuto a inviare a Parma, la sua presenza in Galleria attraverso il tramite dell’Accademia sembra molto plausibile. La tela appartiene stilisticamente alla fase giovanile dell’artista sebbene opere di soggetto romano compaiano alle esposizioni anche negli anni che seguirono il rientro del pittore a Parma: Campagna romana nel 1857, Chiesa di San Giovanni dei Fiorentini a Roma nel 1859 (citate in Mecenatismo… 1974). I modelli e la qualità del linguaggio di Fanti, ma anche i suoi limiti, alla metà degli Anni cinquanta, sono ben espressi nelle parole di un’anonima recensione sulla Gazzetta cittadina del 1855: “Grande vaghezza di colori, e studio e cura persino della fogliuzza d’un arboscello, subito effetto, e grande illusione sono, ci sembra, le qualità di tale scuola [Boccaccio], cui segue principalmente il Prof. Erminio Fanti che ha esposto parecchi sfoggiati ed accuratissimi lavori. Ben potrebbesi dire l’occhio gradevolmente sorpreso, e l’animo istantaneamente giocondato da tanta pompa di tinte, e da scene che talora hanno del magico. Ma da questa magia appunto scaturisce il bene ed il male; e la chiameremo, per ispiegarci, una esagerazione del bello o del piacevole, che confina col falso; un’appariscenza, un compiacimento all’occhio a cui sovente ricusa di accomodarsi l’intelletto” (citato in Mecenatismo… 1974, p. 144). La veduta di Castel Gandolfo, di ampio respiro e studiata composizione, presenta in lontananza il colle sormontato dalla cittadina papale, mentre all’orizzonte estremo s’intravede la città di Roma. Nell’opera compaiono tutti gli elementi propri del vedutismo ancora improntato alla tradizione scenografica del Boccaccio, dalle lussureggianti quinte di alberi descritti con minuzioso pennello, al corso d’acqua lievemente scintillante che scorre a valle, alla figurina del contadino in groppa alla propria cavalcatura che scende per un sentiero che si perde nel fitto della boscaglia. La tela è impostata su una gamma cromatica tutta rivolta al bruno, al marrone bruciato e ai verdi cupi, trascendendo in senso fantastico quella minuziosa indagine descrittiva che caratterizza le opere di Fanti almeno fino a tutti gli Anni sessanta. Lo stato di conservazione della tela è buono, ma la recente foderatura ha creato un generale appiattimento della superficie dipinta, abbassando la naturale scioltezza della pennellata.

Bibliografia
Mecenatismo… 1974, p. 68;
Tassi 1986, ill. p. 47;
Musiari 1992b, p. 105 e ill. 31;
Coccioli Mastroviti 1994b, p. 630;
Lasagni 1999, vol. II, p. 563
Restauri
1992 (S. Baroni)
Mostre
Bologna 1992
Roberto Cobianchi, in Lucia Fornari Schianchi (a cura di) Galleria Nazionale di Parma. Catalogo delle opere. Il Settecento, Franco Maria Ricci, Milano 2000.