- Titolo: Carità Romana
- Autore: Antonio Gualdi
- Data: 1823
- Tecnica: Olio su tela
- Dimensioni: 140 x 114
- Provenienza: Parma, Accademia di Belle Arti; in deposito presso l’Università dal 1929 al 1956, presso l’Intendenza di Finanza dal 1957
- Inventario: Inv. 26
- Genere: Pittura
- Museo: Galleria Nazionale
- Sezione espositiva: Deposito
Il tema della Caritas Romana, ripreso in realtà da un esempio greco di pietas erga parentes nel libro V di Valerio Massimo, aveva conosciuto lunga fortuna dal Rinascimento, con apogeo nel ’600, per il gusto degli opposti fisici ed etici dispiegati dall’aneddoto (gioventù/vecchiaia, bellezza/squallore, severità/generosità), e sviluppi nel ’700.
A Parma, il successo francese dell’iconografia motivò il dono all’Accademia di Belle Arti della Carità Romana di Isabella di Borbone, figlia del duca Don Filippo: piacevole copia da Giuseppe Baldrighi, pittore di Corte formatosi a Parigi (inv. 537; cfr. Fornari Schianchi 2000a, p. 106; Cioccolo 2000, pp. 328-331). Il dipinto presentato dal Gualdi a Maria Luigia d’Asburgo, e da lei offerto all’Accademia il 30 gennaio 1823, è quindi una variante tarda, seppur stilisticamente aggiornata, sullo sperimentato soggetto. Il gruppo di Pero in atto di nutrire l’anziano padre carcerato, Micone (o Cimone), asseconda una visione limpida e sintetica, drammatizzata dal rapporto chiaroscurale tra il fondo in ombra e il verde della sobria veste, in analogia con lo stile di Pietro Benvenuti, maestro del Gualdi a Firenze. L’intento era di celebrare la sovrana per qualità da sempre rappresentate al femminile: l’eroismo muliebre e filiale risplendeva al vertice della Corte con le sembianze di Maria Luigia. Grazie all’elogio indiretto, l’autore sperò forse – ma, pare, senza esito – di partecipare alle munificenze ducali verso gli artisti. Poco dopo, il Gualdi si spostò a Roma, svolgendo poi la propria attività soprattutto a Milano, in osservanza all’asse tracciato dagli scambi tra il Benvenuti e Luigi Sabatelli, fiorentino docente di Pittura a Brera. Dal 1832 al 1852, atti e recensioni delle esposizioni annuali braidensi registrano di frequente ritratti, quadri storici e religiosi del Gualdi, che ebbe fra gli acquirenti Franz von Hartig, governatore della Lombardia. Le opere a Guastalla, in Duomo (Battesimo di Gesù; Andrea e Pietro chiamati all’apostolato) e nella Biblioteca Maldotti (Il conte Ugolino nella torre della fame; San Francesco in estasi e alcuni ritratti), con il San Luigi re di Francia in Santa Maria di Campagna a Piacenza, accertano il progressivo influsso di Francesco Hayez e Giuseppe Molteni, protagonisti della pittura milanese a metà secolo, nel senso di un virtuosistico distacco dai classicheggianti canoni toscani. L’Autoritratto, depositato alla Galleria Nazionale da Vincenzo Gualdi nel 1886 (Ricci 1896, p. 258) e recepito dai repertori, è tornato agli eredi negli anni Ottanta del ’900.