- Titolo: Capriccio con edifici palladiani
- Autore: Antonio Canaletto
- Data: 1750-1760
- Tecnica: Olio su tela
- Dimensioni: cm 58 x 82
- Provenienza: Venezia, collezione Aglietti; acquistato da Maria Luigia e donato alla Galleria nel 1825
- Inventario: Inv. 284
- Genere: Pittura
- Museo: Galleria Nazionale
- Sezione espositiva: La pittura veneta 1600-1700
Fa parte di un gruppo di repliche come quella che nel 1925 si trovava nella collezione del senatore Ettore Conti a Milano (Modigliani 1925, p. 44, tav. 49) di cui si sono perse le tracce (Constable – Links 1989, II, n. 458); una con lievi varianti passata nel mercato antiquario londinese nel 1972 (Constable – Links, n. 458); altra leggermente più ampia, oggi in raccolta privata bergamasca, (Pallucchini 1973, pp. 199-200; Constable – Links, n. 458b); mentre un’ulteriore redazione con il solo ponte di Rialto secondo il progetto del Palladio, apparteneva alla serie di tredici sovrapporte dipinte da Canaletto per il Console Smith fra il 1743 e il 1744, oggi nelle collezioni Reali di Windsor (Constable-Links, n. 457).
Il dipinto raffigura un corso d’acqua attraversato da un ponte quasi identico a quello della veduta di Windsor; sulla strada vi è la basilica palladiana, a destra Palazzo Chiericati, entrambi noti edifici, uno pubblico l’altro privato, di Vicenza. Le gondole, le barche da carico, i burchi, le macchiette ci dicono che siamo a Venezia, ma solo la tipica curva del canale, uno scorcio delle Fabbriche Nuove, in posizione anomala a sinistra del ponte (mentre sono in realtà sulla destra) ci suggerisce che il sito è Rialto.
Il soggetto è in relazione con una famosa lettera inviata il 28 settembre 1759 da Francesco Algarotti scrittore, connoisseur, collezionista e mercante d’arte veneziano, al pittore bolognese Prospero Pesci, a cui voleva commissionare un’opera dello stesso genere. Vero e proprio “Manifesto” del Capriccio, in essa si parla di quadri con edifici estrapolati da siti vari o immaginari. “Altre volte abbiam ragionato insieme di un nuovo genere, quasi direi, di pittura, il quale consiste a pigliare un sito dal vero, e ornarlo poi con belli edifizi o tolti di qua e di là, ovveramente ideali… il primo quadro che io feci lavorare in tal gusto, fu una veduta del nostro Ponte di Rialto dalla banda che guarda infra tramontana e levante… In luogo a dunque del Ponte di Rialto il quale ora si vede, ed è opera di un tal Jacopo, si è posto il ponte già disegnato dal Palladio per quel luogo, il quale è bene il più bello edifizio che vedere si possa… Tal fabbrica, lodata a ragione dall’autor suo, dipinta e soleggiata dal pennello di Canaletto, di cui mi son servito, non le posso dire il bello effetto che faccia, massime specchiandosi nelle sottoposte acque. Alla destra di essa in luogo del Fondaco vi è posto il Palazzo Chiericato del medesimo Palladio… alla sinistra del ponte si scende in una piazza recinta da portici e da un lato fasciata dal Canale e in mezzo ad essa, sorge la Basilica di Vicenza o sia il Palagio detto Ragione… Ella può ben credere che non mancano al quadro né barche né gondole che fa in eccellenza il Canaletto, né qualunque altra cosa trasferir possa lo spettatore in Venezia…” Tuttavia: “le so dire che parecchi veneziani han domandato qual sito fosse quello della città ch’essi non aveano per ancora veduto… Poco o nulla si cangiò nell’andamento del Canale, nella posizione delle rive di esso, nella giacitura degli edifizi che l’accompagnano. Si cangiò soltanto buona parte degli edifizi medesimi…” (Opere, Venezia 1792, VIII, pp. 89-93).
Il ponte coperto deriva da una tavola del capitolo XIII del terzo dei Quattro Libri dell’Architettura di Andrea Palladio, che l’architetto indica come “un ponte di pietra di mia invenzione”, senza menzionare Venezia, che tuttavia è implicita nella descrizione della città cui il manufatto era destinato: “Metropoli di molte altre città; e vi si fanno grandissimi trafichi, quasi di tutte le parti del mondo… il ponte veniva à esser nel luogo apponto, ove si riducono i mercanti à trattare i loro negocij”.
Secondo l’Arslan (1948) l’opera descritta dall’Algarotti al Pesci sarebbe identificabile con il Capriccio già nella collezione Conti, ma Constable e Links, tenendo conto della provenienza inglese di questo ultimo dipinto, ritengono giustamente che si tratti della “performance” citata nell’edizione del 1824 del Dizionario del Pillington alla voce “Canaletto”: “His finest performance was that of the Great Canal with the Basilica of Vicenza rising in the middle”. Quindi la lettera dell’Algarotti si riferirebbe alla versione parmense, assegnata a Canaletto dal Martini (1872), dal Ricci (1896) a Bellotto, restituita a Canaletto da Quintavalle (1939), dall’Arslan (1948), da Constable (1962), da Constable-Links (1989), dal Kozakievicz (1972), dal Carpeggiani (1980), dal Puppi (1982).
Il Cicogna (1842, V, p. 345) annota che “negli anni scorsi si vedevano qui (a Venezia) pure appo i signori conti fratelli Corniani due superbi dipinti del Canaletto, che li avevano ereditati dal conte Algarotti loro zio; dipinti che oggidì stanno nella Ducale Galleria di Parma”. Uno di essi (per l’altro, si veda scheda n. 667) è senz’altro questo Capriccio entrato nelle collezioni parmensi nel 1825, dopo essere stato in personale possesso della duchessa Maria Luigia, che l’aveva acquistato dalla famiglia veneziana Aglietti, dove per i successivi matrimoni, era pervenuto dai Corniani, i quali l’avevano ottenuto tramite Maria Elisabetta Algarotti, figlia di Bonomo, erede universale di Francesco Algarotti, sposata con Marino Corniani (Puppi 1982; cfr. Archivio di Stato di Venezia, G. Tassini, Cittadini Veneziani, Misc. Codici I. Storia Veneta, 9, c. 65 r; Catalogo dei quadri… del fu Sig. Conte Algarotti, p. IV).
La “veduta ideata”, prodotto di rivalutazione del palladianesimo nel contesto di quell’illuminismo veneto, che, presto dimenticata o travisata la lezione di Alessandro Lodoli, tendeva a recuperare il classicismo cinquecentesco, è di problematica datazione.
Termine ante quem è ovviamente il 28 settembre 1759, anno della lettera dell’Algarotti. Corboz (in Puppi 1982) ritiene che termine post quem sia l’arrivo a Venezia nel 1744 dell’Algarotti e il suo incontro con il console Smith, che sfocerà nella commissione a Canaletto delle tredici sovrapporte, tra cui quella col Ponte palladiano, ora a Windsor. Ma è probabile invece che essa sia in relazione con il suo soggiorno veneziano del 1754 e il ritorno del pittore dall’Inghilterra nel corso del 1756, se non alla fine dell’anno precedente, quindi molto più prossima alla data della lettera stessa.