• Titolo: Capitello binato con foglie sfingi
  • Autore: Anonimo
  • Data: Primo quarto del XII secolo
  • Tecnica: Bassorilievo
  • Dimensioni: h 22, base sup. 40 x 25,2, base inf. 30 (diam. di ciascuna base 15)
  • Provenienza: Ignota; già Parma, Museo Archeologico
  • Inventario: GN1830
  • Genere: Scultura
  • Museo: Galleria Nazionale
  • Sezione espositiva: Dal Medioevo a Leonardo Ala Ovest

Il capitello presenta quattro sfingi con il volto femminile e il corpo leonino alato, disposte con la testa in corrispondenza degli angoli, in modo da risultare affrontate sui due lati corti. Ognuna ha una delle zampe anteriori alzata in posizione araldica e l’altra appoggiata al collarino; le zampe posteriori leggermente alzate e quelle anteriori piegate conferiscono un andamento sinuoso al corpo, che termina con una lunga coda arcuata e desinente in fogliolina trilobata. L’abaco è decorato con una cornice di palmette in sottosquadro del tutto simile a quella del capitello binato con foglie d’acanto.

Questo pezzo è pubblicato dalla Fornari Schianchi (1989), che lo mette in relazione a quello corinzio (vedi scheda n. 6) e a quello con le Storie della vita della Vergine (vedi scheda n. 14), quali esempi della “scultura di area parmense di influenza antelamica”. Il Calzona (1990) invece stabilisce confronti con le opere dell’officina attiva in Cattedrale agli inizi del XII secolo, in particolare con il capitello del pilastro n. 17 nel matroneo sinistro – raffigurante lo stesso soggetto – per l’identico modo di trattare la superficie e di modellare i volumi dei corpi. Tuttavia, a causa di una semplificazione dei particolari e di una maggiore rapidità nel descrivere i corpi, attribuisce il capitello binato non al caposcuola – al quale era stato assegnato il capitello del matroneo (Quintavalle 1974) – ma a un aiuto.

Le considerazioni svolte dal Calzona trovano un’ulteriore conferma nel confronto con un’altra opera della Cattedrale parmense: il capitello del matroneo destro anch’esso raffigurante due sirene alate del tutto simili a quelle sopra citate. Ci troviamo senza dubbio di fronte a un unico modello, o meglio a una sola fonte iconografica, che poteva anche essere un disegno, rispetto alla quale le varianti sono minime. In particolare, il capitello binato qui in esame si distingue dai due esempi citati non solo per una maggiore corsività nel descrivere i corpi e per la diversa impostazione del rapporto tra le figure e la base del capitello – come è già stato notato – ma anche per la differente soluzione della coda e delle zampe dei mostri. Se la coda, nel disegno e nel movimento, si può considerare una semplificazione delle soluzioni adottate nelle sfingi dei matronei, le zampe si differenziano non solo per la posizione rispetto al collarino del capitello, ma anche per una insolita interpretazione dell’iconografia dell’animale mostruoso: la terminazione ad artigli nei capitelli della Cattedrale crea quasi un ibrido tra la figura della sfinge e quella dell’arpia, al contrario nel capitello binato è seguita l’iconografia classica della sfinge con corpo e zampe leonini.

Se pure si possono ritenere anche queste variazioni del disegno base, tuttavia le strette connessioni con il capitello binato corinzio ora alla Galleria Nazionale (vedi scheda n. 6), nonché le considerazioni sopra esposte, inducono ad attribuire anche quest’opera a un lapicida partecipe dell’ambiente culturale della Cattedrale parmense e attivo entro il primo quarto del XII secolo.

Scheda di Maria Pia Branchi tratta da Fornari Schianchi L. (a cura di), Galleria Nazionale di Parma. Catalogo delle opere dall’Antico al Cinquecento, Franco Maria Ricci, Milano, 1997.