Proviene insieme ad altri undici quadri dal gruppo Panizza di cui ha seguito le sorti prima quale donazione allo Spedale degli Esposti e poi dal 27 luglio 1784 nella sede dell’Università.

Compare, unitamente agli altri, in una stima redatta dal pittore Clemente Ruta in data 3 maggio 1740 con la valutazione di 30 filippi e con l’assegnazione a Sebastiano Ricci. Tale nota è riportata da Scarabelli Zunti, mentre non è stato possibile rintracciare lo scritto originale, né la copia stampata ricordata dal Copertini che non dubita dell’autenticità come il Quintavalle, mentre sfugge al Derschau la sua esistenza.

La Ghidiglia (1972) nel quadernetto pubblicato in occasione del trasferimento dei dipinti in Galleria ne sottolinea la controversia attributiva e ne rinvia il giudizio a un più accurato esame. Nel 1976 il Daniels torna due volte sull’argomento, nelle monografie dedicate all’artista, inserendola vagamente e senza approfondimenti fra le opere attribuite, avvisando però che, talora, malgrado la pregevole qualità dei dipinti, l’insufficienza documentaria non permette l’inserimento nel catalogo degli autografi. Posizione accolta dalla Ceschi Lavagetto che giudica l’opera più debole e non autografa unitamente al dipinto con Susanna e i vecchioni. Tornando alla valutazione del Ruta, storico avveduto e pittore egli stesso, in grado quindi di effettuare un esame comparativo dello stile e della materia, sembrerebbero non esistere dubbi di autografia se lo parifica alla Lucrezia, alla Susanna e i vecchioni, superando addirittura l’Antioco visitato dai medici che valuta al prezzo di 25 filippi.

È indubbio che la tela, pur essendo di una eleganza prossima a Sebastiano Ricci, presenta rotondità, grazia, tenue erotismo e levità tali che sembrano ricongiungersi con i modi di Antonio Molinari e Giovan Antonio Pellegrini, i quali si affiancano al bellunese in un parallelismo “riformatore”, ma anche, con le più varie articolazioni che ne conseguono, in una nuova “luminosa e splendente fluidità” che sembra emergere dalle opere che riaprono un più serrato confronto con il Ricci. Sembra, infatti, utile poter sviluppare la ricerca in tal senso, ricordando alcune affinità con la Venere e Amorini in collezione privata a Firenze (cfr. Pilo 1976, p. 110, fig. 68). Così il re Davide sembra scorgere, dalla terrazza della sua reggia la bellissima Betsabea che fa condurre nelle sue stanze (II, Samuele, 11, 2-17) anche se il Daniels prospetta che il tema sia la Toeletta di Venere.

La leggera differenza dimensionale e il tema biblico che lega i due dipinti fanno ritenere l’opera un pendant di Susanna e i vecchioni, che il Quintavalle, senza sforzo, colloca, ritenendole autografe, entrambe fra  il 1695 e il 1703, riconoscendovi “le  solite eclettiche derivazioni da Giordano  e Solimena”. Altri la datano a prima  del 1717.
Si potrebbe presupporre una datazione più precoce, verso la fine degli Anni ottanta, ritrovandovi quelle lievi incertezze che caratterizzano anche Il santo vescovo del Ferdinandeum di Innsbruck e la Lucrezia dell’Art Institute di Dayton (Ohio).

Bibliografia
Scarabelli Zunti fine del XIX secolo, Documenti…, VII, c. 172;
Copertini 1923, pp. 400 sgg.;
Quintavalle A.O. 1948, n. 222, p. 125;
Daniels 1976b, p. 93;
Daniels 1976a, p. 141, n. 610;
Ceschi Lavagetto 1979, p. 26;
Rizzi 1989, p. 50
Restauri
1992 (Zamboni e Melloni)
Mostre
Parma 1948;
Parma 1972
Lucia Fornari Schianchi, in Lucia Fornari Schianchi (a cura di) Galleria Nazionale di Parma. Catalogo delle opere. Il Settecento, Franco Maria Ricci, Milano 2000.