La ricerca non ha chiarito la provenienza e l’anno d’acquisizione dell’opera, ma è possibile confermare che era già elencata nell’inventario manoscritto del 1852 (n. 184), con l’assegnazione a Spolverini.

Attribuzione che rimarrà invariata nella bibliografia successiva, ad eccezione della Ghidiglia Quintavalle che la ritenne della scuola dello Spolverini, fino alla mostra piacentina del 1975 in Palazzo Farnese, dedicata a Francesco Monti, più noto come Brescianino delle Battaglie, che fu maestro del celebre pittore delle cerimonie farnesiane.

In tale occasione Raffaella Arisi, alla luce di una nuova lettura della produzione di questo genere pittorico in ambito parmense fra il ’600 e il ’700, sposta convincentemente la paternità verso questo artista, allievo di Pietro Ricchi, a sua volta seguace e discepolo del Borgognone, con cui il Brescianino viene in contatto diretto e colloca la tela agli inizi del XVIII secolo.

La tradizione storiografica a partire dall’Orlandi (1704) concorda nell’affermare che il Monti operò a Venezia, Genova, Napoli e in Germania (Arisi 1975, pp. 17, 36). Tuttavia Cirillo e Godi (1993) nel documentare l’attività dello Spolverini a Colorno negano, senza darne motivazione, questa attribuzione al Brescianino, mentre è riconosciuta come sua opera dalla Consigli (1994) e alla luce di recenti contributi pensiamo che possa sostenere un ulteriore confronto stilistico con le Battaglie assegnate al Brescianino dalla Pagano (1998, pp. 118-145) conservate nella Reggia di Caserta e distinte da quelle dello Spolverini e da altri anonimi seguaci.

Al pari di tante altre sue scene di combattimento fra “cristiani e turchi”, in questa zuffa di cavalieri il ritmo narrativo, unito a un colore fluido, è così violento e i gesti dei soldati che sparano talmente determinati, che si può confermare quanto il Carasi (1780) (cfr. Pronti 1997a, p. 80) aveva espresso sulla sua personalità parafrasando il diverso fare pittorico da quello dell’allievo, avvertendo che i suoi cavalieri “minacciavano”, mentre quelli dello Spolverini “uccidevano”.

Nello Spolverini, in effetti, la pennellata appare “più controllata”, mentre il Brescianino esegue “figure dalle proporzioni atticciate e con fisionomie grottesche” (Cirillo – Godi 1993, pp. 96-97) e spesso – come in questa battaglia e in quella conservata a Soragna presso i principi Meli Lupi, nonché nelle quattro presso la Pinacoteca Stuard (Barocelli 1996, pp. 98-99), senza dimenticare inoltre le tante in collezioni private pubblicate dalla Consigli – usa delle quinte “cinematografiche”, inserendo ai margini elementi vegetali o architettonici in controluce, per aumentare il senso di profondità delle sue composizioni, prevalentemente orizzontali, dove i cieli si caricano di dense nubi, facendosi più chiari sullo sfondo, su tonalità rosee che sfumano su piccole scene in lontananza.

Anche di recente sono state rese note due tele conservate in una collezione privata di Brescia (Pedrocco 1998, pp. 66-67), in cui l’invenzione del cavallo dal manto chiaro, a terra sulle zampe anteriori, ritorna quasi nella stessa posa, o a volte in controparte, alla stregua del cavaliere morto in primo piano, elementi essenziali per riconoscere una sua composizione, i cui modelli sono da ritrovare nelle opere del Borgognone, come nella Battaglia eseguita da quest’ultimo e conservata nella Galleria Pallavicini a Roma.

Il successo che il Monti godette alla corte Farnese, per la quale prestò servizio a partire almeno dal 1670 e regolarmente con stipendio dal 1681, gli fece produrre fino alla morte, avvenuta per la maggior parte dei biografi a Parma nel 1712, numerosissime opere anche a soggetto sacro, ma le battaglie, difficilmente situabili in un percorso cronologico, di certo trovarono più consenso anche nelle collezioni private del ’600-’700, come ad esempio nelle raccolte Boscoli, Pallavicino, Smitti o Scutellari, dove compaiono in gran numero tele, ora non identificate per la genericità del soggetto.

Bibliografia
Inventario… 1852;
Pigorini 1887, p. 21;
Ricci 1896, p. 354;
Pelicelli 1937a, XXXI, p. 399;
Quintavalle A.O. 1939, pp. 71-72;
Donzelli – Pilo 1967, ill. 412;
Ghidiglia Quintavalle 1968b, p. 89;
Arisi R. 1975, pp. 71-72;
Cirillo – Godi 1993, p. 106 nota 33;
Consigli 1994, p. 367
Restauri
1955-56
Mostre
Parma 1968;
Piacenza 1975
Scheda di Mariangela Giuusto, tratta da Fornari Schianchi L. (a cura di), Galleria Nazionale di Parma. Catalogo delle opere Il Seicento, Franco Maria Ricci, Milano, 1999.