- Titolo: Battaglia di Fornovo
- Autore: Ilario Mercanti, detto lo Spolverini
- Data: 1690-1700
- Tecnica: Olio su tela
- Dimensioni: cm 193 x 460
- Provenienza: Parma, collezione Pallavicino; acquisto del 1928
- Inventario: GN 1145
- Genere: Pittura
- Museo: Galleria Nazionale
- Sezione espositiva: Condottieri e battaglie
Il dipinto, eseguito su un’unica tavola, è esposto attualmente senza cornice. In alcune vecchie fotografie appare inserito in un tabernacolo goticheggiante risalente con ogni probabilità al Tacoli Canacci (per le affinità che dimostra con le cornici di altre opere passate per le mani del marchese); fu eliminato con un restauro nell’immediato dopoguerra (cfr. Quintavalle 1948a).
Il Ministero acquistò le due grandi tele nel 1928 dall’antiquario parmense Emilio Zucchi, dopo che nel 1925 erano state notificate al pittore Francesco Gravaghi, che insieme all’antiquario e orafo Andrea Alfonsi le aveva offerte in quell’anno allo Stato, senza successo.
Poco dopo, per trattenerle a Parma, avallando l’attribuzione a Ilario Spolverini, il soprintendente Corsini le sottopose al decreto di vincolo. L’Alfonsi con il Gravaghi erano entrati in possesso delle tele, già “appese alle pareti della grande sala del Palazzo Pallavicino” (inteso di Parma), nello stesso anno, dopo che un “signore milanese”, a cui furono vendute prima della guerra (1918), decise di lasciarle a Parma “presso una famiglia” (cfr. Archivio Soprintendenza BAS di Parma e Piacenza).
È dal carteggio dell’ispettore Pellicelli (27 agosto 1925) che apprendiamo tutte queste informazioni; egli considerava tuttavia le due tele opere del Borgognone (non fa alcun accenno allo Spolverini) e dubitava che rappresentassero la Battaglia di Fornovo. È il senatore Corrado Ricci, in una lettera al Corsini (18 agosto 1925), che dichiara di non credere che le due Battaglie siano “importanti per Parma se non nel caso che fossero d’Ilario Spolverini”, e presumibilmente su questa ipotesi, avanzata per giustificarne l’acquisto, dovette nascere, senza l’appoggio di documenti, l’attribuzione allo Spolverini, mantenuta dalla critica successiva.
Gli studi sulla pittura del ’700 e le mostre del 1979 allestite a Parma e a Piacenza, hanno contribuito a rafforzare questa attribuzione e anche alla luce di importanti testimonianze pittoriche avallate da documenti, che stravolgono il catalogo del Brescianino e rafforzano quello dello Spolverini (Cirillo – Godi 1993), le due battaglie hanno mantenuto senza incertezze la paternità, sebbene ora – come avverte l’Arisi (1998) per le due grandi tele conservate nel Museo Civico di Piacenza – dato che “l’evidenza lo nega”, ma i “documenti lo affermano”, occorre rivedere la cronologia delle sue opere.
Inoltre è necessario porre il problema della provenienza di queste due Battaglie, finora pensate per il Palazzo Pallavicino di Busseto, in considerazione che Spolverini in quella sede decorò alcuni soffitti (Cirillo – Godi 1988, p. 8) e nel 1714 godette ancora dell’attestato di familiarità con i Pallavicino, elementi che ora assumono un valore diverso se prendiamo in considerazione quanto scrisse il Pellicelli agli inizi del ’900 e forse sono da riconoscere fra quelle tredici Battaglie dello Spolverini elencate nella saletta nell’inventario del 1751 dei beni del Palazzo Nobile di Parma steso dal marchese Uberto alla morte del padre Alessandro Pallavicino (Aimi 1976), individuando almeno una delle nostre battaglie in quel “stragrande lungo”, anche se ci sembra strano fosse separata dal suo pendant, a meno che il secondo non sia quello collocato in un’altra camera così descritto “un quadro bislungo con cornice sgreza con sopra dipinta una Battaglia. Autore Spolverini”.
Tutto questo non esclude comunque che le due tele siano state trasferite da Busseto a Parma durante l’alienazione dei beni dei Pallavicino, anche se per le dimensioni appaiono più consone agli ambienti dell’edificio in piazzale Santafiora e inoltre occorre ricordare che la battaglia dello Spolverini ora al Museo Civico di Fontanellato pare provenire anch’essa dal Palazzo di Busseto (Arisi 1993, p. 207).
Nel ricordare le due Battaglie, la critica ha sempre ritenuto che raffigurassero due episodi della famosissima battaglia di Fornovo, combattuta nel 1495 a ridosso del Taro, ponendole in relazione a un personaggio storico del casato dei Pallavicino, Ranuccio Farnese, generale dei veneziani, cugino del futuro papa Paolo III e marito di Ippolita Pallavicino che a Fornovo perse la vita, per rammentare i legami di parentela fra i Pallavicino, signori di un importante Stato e la famiglia Farnese, che a quell’epoca non aveva ancora raggiunto l’apice della sua potenza.
Il sanguinoso scontro, avvenuto il mattino del 6 luglio presso Fornovo, lungo il fiume in piena e sotto la pioggia, trovò coinvolti l’esercito di Carlo VIII, che dopo aver disceso l’Italia per far valere i diritti della Casa d’Angiò, sulla strada di ritorno verso la Francia si scontrò con l’esercito della Lega, organizzata da Ludovico il Moro e capeggiata da Francesco Gonzaga. Nel violento combattimento caddero moltissimi uomini, la maggior parte italiani e le cronache sono discordi nell’assegnare la vittoria ai francesi, tanto che al Mantegna i Gonzaga commissionarono la famosa pala della Vittoria.
Nelle scene raffigurate dallo Spolverini, per la genericità dei costumi non appaiono evidenti i due schieramenti, gli abiti e le armature richiamano la moda del ’600 e nel groviglio di cavalli e cavalieri solo un personaggio in ambedue i dipinti è reso con maggior ricerca nei caratteri del viso e nella intensità cromatica dell’abbigliamento.
È forse Ranuccio Farnese quel soldato morto in primo piano riverso sul cavallo con indosso una giubba blu e pantaloni rossi? (inv. 1144); curioso è comunque il copricapo “alla turca” a terra al suo fianco ed è forse lo stesso giovane barbuto che al momento della violentissima esplosione (inv. 1145) si erge dalla massa scura e mostra il volto? Non ci è possibile saperlo, possiamo solo interpretare la narrazione dello Spolverini, che costruisce le scene in notturni (sebbene il combattimento avvenne in pieno giorno) e l’efficacia dello scontro è tutto giocato su masse brune in penombra ravvivate dalla luce dei fuochi. Superbo è l’effetto dell’esplosione, ottenuto su un gioco di tonalità rosa, un brano pittorico che non ritroviamo in altre tele dello Spolverini, mentre l’aprirsi dell’orizzonte nell’altra battaglia richiama con più respiro e meno densità di figure i fondali delle enormi tele con Giosuè ferma il sole e Mosè che conduce il popolo ebreo, custodite a Piacenza, già ritenute del Brescianino e ora documentate fra il 1721 e il 1727 allo Spolverini (Pronti 1997a, pp. 206-207).
Senza dubbio queste nostre due Battaglie ci mostrano uno Spolverini diverso anche dalla narrazione delle cerimonie per le nozze di Elisabetta Farnese e non troviamo le sue tipiche figure slanciate, ma linee più rotonde. Risente dell’influenza del Borgognone, con cui poté confrontarsi durante la formazione presso il Monti, tanto da citare nel morto supino sul cavallo una soluzione figurativa che ritroviamo in un quadro ritenuto del Courtois (Consigli 1994, fig. 15).
Pur mantenendo l’attribuzione allo Spolverini, anche pittore di cerimonie e ritrattista, che dimostra nello sviluppo spaziale delle due battaglie di saper rendere certi scorci, come nel cavallo bianco frontale (inv. 1145), con notevole capacità pittorica e raggiunta maturità, è necessario anticipare di qualche decennio le tele, pensando che siano state dipinte attorno al 1690, all’epoca della ristrutturazione del Palazzo Pallavicino di Parma, prima che lo Spolverini ricevesse la patente di familiarità della corte Farnese (1692), comunque non coeve alle tele con le celebrazioni delle nozze di Elisabetta Farnese.