Si ignora ancora la provenienza di questa tela, della quale si ha notizia solo nella seconda metà dell’800, quando era già in Galleria, riferita correttamente al Bedoli (Martini 1875).

Attribuzione accettata successivamente da Ricci (1894) e da Testi (1908), ma non da Venturi (1926), che, seguito dalla Fröhlich Bum (1930) e da Quintavalle (1939), preferì avanzare il nome del Parmigianino. Nel 1948 ancora il Quintavalle proponeva l’Anselmi quale autore del ritratto, mentre il resto della critica accettava l’ascrizione al Bedoli.

Il personaggio è stato identificato con il letterato parmigiano Enea Irpino, vissuto nella prima metà del ’500 (Ricci 1894), interpretando la parola “exi”, posta al centro della copertina di un libro a sinistra dell’anfora, come le iniziali dell’Irpino: E(nea)xi (Irpino). Più di recente Kern (1981) ha proposto in Marcantonio Passero, filosofo dello studio di Padova, il ritratto dell’effigiato, individuando nell’anfora con i tre garofani, nella clessidra e nei libri chiusi, possibili significati inerenti la morte. Il ritratto si presenta ricco di raffinatezze manieristiche e di preziosi dettagli resi attraverso una tecnica minuziosa e accurata fatta di tocchi appena percettibili, come nel broccato del robone, i cui effetti di controfondo lucido opaco non sfuggono a una attenta lettura, come nella barba curata a fil di pennello, e nella lucentezza del drappo alle spalle del colto personaggio raffigurato (Fornari Schianchi). La datazione dell’opera, proposta dalla Mattioli (1972) agli inizi degli Anni sessanta, va retrodatata, per affinità con il Ritratto di un sarto (Napoli, Galleria Nazionale di Capodimonte; inv. 120), alla metà degli Anni cinquanta del ’500.

Scheda di Mario di Giampaolo tratta da Fornari Schianchi L. (a cura di), Galleria Nazionale di Parma. Catalogo delle opere Il Cinquecento, Franco Maria Ricci, Milano, 1998.