Il dipinto in esame proviene dall’Accademia di Belle Arti di Parma, ove era conservato nel 1874, anche se non sappiamo né quando esso venne donato all’istituzione parmense, né tantomeno da chi, forse dall’artista stesso.
Claudio Salvatore Balzari ebbe durante il corso della sua attività svariati riconoscimenti ufficiali e ancor oggi viene considerato il caposcuola dei paesaggisti parmensi ottocenteschi.

Nominato Accademico d’onore da Maria Luigia e quindi consigliere con voto nell’Accademia di Belle Arti nell’ottobre del 1821 (cfr. Atti…, vol. II, 1794-1825, p. 220 seduta del 6 ottobre e p. 223 seduta dell’11 novembre), divise la sua attività d’artista con quella di funzionario di Corte, membro della Consulta del Catasto. Dilettante di genio, non ebbe una formazione accademica, ma come vuole la biografia che il poeta Gregorio Ferdinando De Castagnola redasse l’anno stesso della morte dell’artista, edita a Parma, fu un autodidatta particolarmente versato nella pittura di paesaggi. Eccezion fatta per quest’Autoritratto infatti, tutte le opere oggi note del Balzari, sparse per collezioni private parmensi o conservate al Museo Glauco Lombardi, sono ameni paesaggi, non poco stucchevoli, in cui un gusto retrò melanconicamente arcadico si fonde con suggestioni lenticolari di matrice fiamminga e con innegabili debiti con quella cultura romantica che innerva di sé anche la produzione di Giovanni Boccaccio, allievo dello stesso Balzari.

Anche lo Scarabelli Zunti nelle sue aggiunte manoscritte alla vita del Balzari sottolineò a più riprese la sua valentia nella pittura di paesaggio, pur operando alcune velate critiche: “Ma nell’acqua egli fu valentissimo ed a pochi secondo… Fresche oltremodo appaiono le sue fronde, ma alcuna fiata un po’ di troppo frastagliate…” (Memorie di Belle Arti, ms. Biblioteca Soprintendenza BAS di Parma e Piacenza, vol. IX, pp. 14 e 15); la fama di paesaggista lo accompagnò comunque per tutta la sua attività, tanto è vero che anche nell’epigrafe, che orna la tomba del cimitero della Villetta a Parma in cui è sepolto, dettata con ogni probabilità dall’amico e mecenate Antonio Melloni viene riportato che “… cultissimo delle lettere e delle arti graziose/condusse egregiamente il paesaggio…” (cfr. Copertini 1962b, p. 57).

Nel dipinto qui in esame l’artista si autoritrae davanti a un cavalletto su cui è appoggiato un paesaggio raffigurante un castello visto al chiarore della luna, che fa capolino fra minacciose nubi nerastre. Più che il viso dell’artista, non poco duro e legnoso nei contorni marcati che ne incidono quasi i lineamenti e che denota innegabilmente una scarsa consuetudine da parte del Balzari nel dipingere “figure”, risulta interessante il quadro all’interno del quadro, meditazione notturna dal sapore preromantico, qui declinata con parlata spiccatamente provinciale, memore forse di quanto in quel torno d’anni stavano eseguendo con ben più alto tenore stilistico artisti quali Joseph Vernet e Pierre-Jacques Volaire, e anticipatrice di quanto realizzò alcuni anni dopo Giuseppe Molteni nel ritrarre l’amico pittore Migliara in un dipinto anch’esso conservato nella Galleria Nazionale di Parma (cfr. su quest’ultimo quadro la scheda di Paola Segramora, nel catalogo della mostra su Giuseppe Molteni di prossima apertura al Museo Poldi Pezzoli di Milano).

Purtroppo non si conoscono riscontri documentari circa la data di esecuzione dell’opera, ma considerate le fattezze fisionomiche dell’effigiato, qui all’incirca fra i trenta e i quarant’anni, possiamo considerarla eseguita nell’ultimo decennio del ’700, allorquando il dilettante colornese era già noto all’intellighenzia artistica parmense, come si desume ad esempio da una lettera indirizzata da Giovambattista Bodoni a Francesco Rosaspina il 29 gennaio 1796, in cui si legge: “… Se vedeste i rami miniati del nostro amabile Balzari restereste stordito tanto sono bene eseguiti…” (cfr. Autobiografia di G.B. Bodoni 1958, p. 135).

Bibliografia
Inventario… 1874, n. 285;
Martini 1875, p. 24;
Pigorini 1887, p. 35;
Ricci 1896, p. 259;
Lottici 1908, vol. II, p. 429;
Allegri Tassoni 1952, p. 48;
Copertini 1971b p. 26;
Musiari 1986, tav. f.t.;
Trier 1992, vol. VI, p. 537;
Lasagni 1999, vol. I, p. 24
9
Restauri
1951-52
Mostre
Parma 1952
Angelo Loda, in Lucia Fornari Schianchi (a cura di) Galleria Nazionale di Parma. Catalogo delle opere. Il Settecento, Franco Maria Ricci, Milano 2000.