Intento a dipingere, circondato da quelle icone che erano animali e sono diventate le sue sigle, una sorta di firma, dal gatto (e qui entra in gioco la suggestione felis = felix) non a caso sulla spalla, alla coppia d’anatre appese, sorridente e apparentemente orgoglioso dello status raggiunto, ed esibito nella giacca con jabot bianco e nella parrucca per la quale dal 1701 (Scarabelli Zunti fine del XIX secolo, Documenti… IV, f. 36v) pagava la tassa dovuta, Boselli dimostra una settantina d’anni, il che suggerisce una datazione della tela intorno al 1720.

La pratica dell’autoritratto presso gli artisti dei generi minori si era diffusa fors’anche come tentativo di riscattare, di fatto, una condizione che, presso i teorici, gli storici e gli stessi collezionisti, veniva valutata agli ultimi gradini dell’Arte. Tant’è che alcuni di questi sono caratterizzati da ironia, atteggiamenti ridenti, il riso è attributo del comico, le loro opere venivano definite “pitture ridicole”, la loro pittura apparteneva alla dimensione popolare della commedia, qualche volta addirittura al gusto dello sberleffo (cfr. Da Caravaggio a Ceruti… 1998, pp. 441-444 ), come una sorta di trasgressione, fra il burlesco e lo scapigliato, esibita, non so quanto sofferta, nei confronti degli artisti accademici (a Roma gli artisti dediti ai “generi minori” infatti non avevano accesso all’esclusiva e prestigiosa Accademia di San Luca, destinata ai “pittori di storia”).

Sull’altro versante, ormai settecentesco, ci sono, esempi clamorosi, gli autoritratti di Cristoforo Munari e Arcangelo Resani: entrambi, pur nella loro diversità, modernissimi, consapevoli, padroni di sé, autorevoli, un po’ anche esibizionisti nella nonchalance: l’uno, con la scura giubba brillante d’argentei bottoni, porgendo il bicchiere in cristallo trasparente nella cui virtuosistica resa sa di eccellere; l’altro, con lo straordinario cappello e la giubba di seta spunta con ironia dietro una capra e di fianco alla rustica sporta che, come un vezzo, usa quasi come una firma. Fanno venire alla mente gli autoritratti di Chardin, e soprattutto quello con la visiera, il fazzoletto rosa, il “masulipatan” di Proust, e gli occhiali sul naso (così umanamente vero, sul genere “mon coeur mis à nu”), cui appunto Proust dedica righe indimenticabili (in Rosemberg 1979, pp. 370-371). L’immagine che Boselli ci dà di se stesso non sta né sull’uno né sull’altro versante, sta in mezzo, non è irridente certo ma non è neppure processo di autocoscienza, rappresenta invece quella medietà e quella concreta modestia che meglio corrispondevano al suo status e al carattere di pittorica prosa padana che costituisce il nocciolo del suo lavoro. (L.V.)

Bibliografia
Inventario… 1852, n. 291;
Martini 1875, p. 24;
Pigorini 1887, p. 35;
Ricci 1896, pp. 250-251;
Copertini 1935, pp. 101, 105-106;
Quintavalle A.O. 1939, p. 231;
Bocchia Casoni 1964, p. 38-40;
Ghidiglia Quintavalle 1964b, p. 92;
Arisi 1973 pp. 276-277;
Biagi Maino 1989, p. 388;
Arisi 1995, p. 217
Restauri
1951-52
Mostre
Parma 1964
Scheda di Luisa Viola, tratta da Fornari Schianchi L. (a cura di), Galleria Nazionale di Parma. Catalogo delle opere Il Seicento, Franco Maria Ricci, Milano, 1999.