Fu davvero un ottimo affare, nel 1860, accettare questa tela dal signor Ferdinando Bozzotti, in cambio d’una copia della Madonna di san Girolamo del Correggio, eseguita dal canonico Gaetano Tedeschi. Le pubbliche raccolte parmensi entrarono così in possesso dell’opera di gran lunga più riuscita, e anche più esemplare, del Baldrighi. Il pittore, in elegantissima zimarra da camera con ricami di fiori su fondo bordeaux, aggiusta la posa della propria moglie; che a sua volta indossa un abito di raso bianco del tutto identico a quello che si vede addosso alla duchessa Louise-Elisabeth nel “quadro della famiglia”.

La signora tiene nell’incavo del braccio un bel gatto nero: suo marito amava moltissimo quegli animali da salotto, e se n’era addirittura portato appresso due, d’Angora, tornando da Parigi, come ricorda il Bertoluzzi. E il gatto punta, evidentemente, al cardellino lì accanto, al sicuro nella sua elegante gabbia completa di gancio in ottone per poterla appendere da qualche parte. Gli attrezzi per dipingere sono pronti, e fanno natura morta sul mobile a cassetti sulla sinistra; e il ritratto è già abbozzato: se ne vedono i precisi tocchi di biacca sull’imprimitura in terra di Siena bruciata. Il luogo è la casa del Baldrighi, che come primo pittore di Corte godeva – narra il Bertoluzzi – d’un “comodissimo alloggio montato di gusto e a spese dell’Infante”. E infatti, a far da sfondo alla scena, c’è un suo dipinto mitologico, e accademico: un Ercole e Caco, parecchio simile all’Ercole che libera Prometeo della Galleria parmense, che reca sulla cornice la data del 1759, e che può forse essere di due o tre anni prima. Alle spalle della signora, in parte coperto da un drappo di stoffa azzurra, è un paravento ricoperto di seta a fiorami dorati: ed è proprio lo stesso che compare nel cosiddetto “quadro della famiglia”, e così pure il drappo. Ed è logico quindi pensare che i due dipinti, entrambi non datati, siano nati allo stesso tempo: e cioè, a giudicare dall’età dei personaggi, attorno al 1757, quando il Baldrighi era sui trentacinque anni. Entrambi i dipinti appartengono a un gusto largamente in voga in Francia a quelle date, e che oscilla, a seconda della destinazione, fra una colloquiale ufficialità sorridente e una vena di più domestica affabilità. Ma il Baldrighi, qui (pur evidentemente fiero dell’avvenenza della moglie, che era – dice il Bertoluzzi – “un’americana bellissima e dotta, talché la sua casa era il ridotto della gente di lettere, e il recapito de’ forestieri istruiti” e si chiamava Adelaide Nougot, nome che pare piuttosto francese, anche se delle colonie francesi d’America, magari), esibisce soprattutto una intelligente, limpidissima oggettività, e mira a una ineccepibile resa ottica del soggetto: e così il cardellino e il gatto, e i riflessi rossastri della tovaglia sulla seta bianca del vestito di sua moglie sono scrutati, né più né meno, con la stessa attenzione che spetta al bel volto della signora. Non concede proprio nulla alla fantasia, e pochissimo anche agli affetti. Guardava, certo, alla chiarezza analitica dei ritratti di Maurice Quentin de la Tour (che René Schneider chiamava, a giusto titolo, “maître de l’analyse”), e a quelli altrettanto nitidi di Aved; e forse già aveva avuto conversazione col Condillac, giunto a Parma nel 1758, che nella sua Art d’ecrire sosteneva che “la forza dei poeti, come quella dei geometri, consiste non nell’immaginazione, ma nell’analisi”.

Bibliografia
Ricci 1896, pp. 254, 255;
Sorrentino 1931, p. 143;
Quintavalle A.O. 1939, p. 240;
Praz 1971, p. 55;
Riccomini, 1977a, pp. 108, 109;
Fornari Schianchi 1979, pp. 108, 109;
Chiarini 1982, n. 62;
Fornari Schianchi s.d. [ma 1983], p. 198;
Giuseppe Baldrighi 1984;
Mavilla 1985, pp. 169-171, 178
Restauri
1968
Mostre
Parma 1979;
Stradella 1984
Eugenio Riccomini, in Lucia Fornari Schianchi (a cura di) Galleria Nazionale di Parma. Catalogo delle opere. Il Settecento, Franco Maria Ricci, Milano 2000.