- Titolo: Autoritratto
- Autore: Giuseppe Peroni
- Data: Anni sessanta del XVIII secolo
- Tecnica: Olio su tela
- Dimensioni: 88 x 72
- Provenienza: ignota
- Inventario: Inv. 832
- Genere: Pittura
- Museo: Galleria Nazionale
- Sezione espositiva: Deposito
Con un calibrato gioco di luci e ombre, che morbidamente modella le forme e dà risalto a ben studiati dettagli, Giuseppe Peroni ritrae se stesso in questo dipinto, eseguito probabilmente negli Anni sessanta del XVIII secolo, forse per essere esposto nelle sale dell’Accademia di Belle Arti di cui l’abate era professore di Pittura dal 1758.
Si tratta di un’opera piuttosto convenzionale, anche se animata, come rileva Quintavalle (1939), da una spontaneità e vivacità quasi sempre estranee alla produzione sacra di Peroni e caratterizzata da una meditata immediatezza e un’attenta indagine fisionomica (Allegri Tassoni 1955) che ci consentono di visualizzare alcuni importanti tratti del carattere dell’uomo e dell’artista. Le labbra sottili, serrate in una sorta di involontaria smorfia, lo sguardo penetrante ben fisso negli occhi del riguardante e la fronte lievemente corrugata creano una certa suggestiva corrispondenza fra il volto ritratto e l’uomo “sornione, geloso ed impulsivo” descritto dal ministro Du Tillot in una lettera inviata nel maggio del 1761 all’abate Frugoni, allora segretario dell’Accademia, per por fine a una animata e animosa querelle accademica che da tempo vedeva contrapposti il Peroni, appunto, e un “freddo e maligno” Giuseppe Baldrighi (per il contenuto e la soluzione di questa disputa si veda Allegri Tassoni 1955). Il capo scoperto, senza parrucca o copricapo alcuno, l’abito sacerdotale coperto, ma non celato, da un semplice robone ci parlano di un uomo dai costumi morigerati, ugualmente orgoglioso del suo doppio ruolo di ministro di Dio e di artista. E, infine, il dipinto in lavorazione raffigurato sullo sfondo, con l’immagine di una pacata e un po’ leziosa Vergine Assunta (o un’Immacolata?), ci arriva come inequivocabile segno dei contenuti iconografici e della cifra stilistica della sua arte. Se poi, seguendo un accattivante suggerimento proposto da Riccomini (1977a), confrontiamo il nostro dipinto con l’Autoritratto con la moglie (inv. 701; cfr. scheda n. 706) o con l’Autoritratto con due amici (inv. 289; cfr. scheda n. 703) dipinti da Baldrighi ci rendiamo visivamente conto dell’assoluta divaricazione intellettuale, ideologica, stilistica e umana che si genera nella Parma di Don Filippo e di Du Tillot fra gli artisti promossi alla Corte (Baldrighi, Petitot e Boudard in testa), fautori di un’arte raffinata e colta, interessata a temi laici e profani, ricca di suggestioni razionali e analitiche di ispirazione illuminista (ma non per questo scevra da intenti propagandistici) e quelli legati agli ambienti ecclesiastici (Peroni e Bresciani sopra a tutti) prevalentemente dediti all’arte sacra e fedeli a un linguaggio artistico suasorio ed edificante di facile e inequivocabile lettura, dunque ancora profondamente barocco anche se aggiornato sulle contemporanee riforme classiciste elaborate soprattutto nelle accademie romane.
Quando nel 1758 Peroni entra a far parte del corpo accademico della sua città ha alle spalle un curriculum di tutto rilievo e una fama assai solida non solo nei territori del ducato parmense, ma anche nelle vicine province lombarde (per la Certosa di Pavia aveva dipinto nel 1757 un Cristo e la Maddalena di deciso impianto batoniano) e a Roma dove aveva soggiornato fra 1750 e 1752 e dove aveva potuto annoverare, fra i suoi amici e committenti, personalità illustri quali il cardinale Alberoni (su commissione del quale eseguì nel 1751 la Predica di san Francesco de’ Paoli per la chiesa piacentina di San Lazzaro), il signore di Palestrina e i principi Barberini. Questa fama e autorevolezza toccarono uno dei loro vertici nel 1756 quando Luisa Elisabetta, moglie del duca Filippo, gli commissionò per la chiesa di San Pietro martire un San Ludovico re di Francia di cui “Madama Reale fu tanto soddisfatta che ordinò prima di collocarlo sull’altare fosse posto in apposita stanza in pubblica mostra all’ammirazione dei visitatori” (Scarabelli Zunti fine del XIX secolo, Materiale… II, p. 146). Anche se – come abbiamo detto riprendendo le analisi di Riccomini (Riccomini 1977a) e della Fornari Schianchi (Fornari Schianchi, in L’arte a Parma… 1979, pp. 98-101) – negli anni immediatamente successivi il favore della Corte e di alcuni ambienti ecclesiastici (per esempio i cappuccini, ma anche i rettori della chiesa di San’Antonio abate) si rivolse ad artefici “forestieri” che in diverse occasioni Peroni tentò di ostacolare (Allegri Tassoni 1955), la fama e l’attività di quest’ultimo non conobbero significative flessioni neppure negli ultimi anni di vita, che tuttavia furono turbati dal diffondersi generalizzato di idee, concezioni estetiche e opzioni stilistiche sostanzialmente estranee al suo spirito.