- Titolo: Autoritratto
- Autore: Maria Callani
- Data: 1802
- Tecnica: Olio su tavola
- Dimensioni: 50 x 40
- Provenienza: Parma, collezione Gaetano Callani, 1839
- Inventario: Inv. 614
- Genere: Pittura
- Museo: Galleria Nazionale
- Sezione espositiva: Ottocento a Parma
Il dipinto rimasto di proprietà del fratello della pittrice Francesco, a sua volta pittore e restauratore, nel 1826 fu proposto all’Accademia di Belle Arti con altri quadri di Maria, ma soprattutto, assieme alla pregevole collezione d’arte del padre. L’intero gruppo di opere venne, quindi, acquistato nel 1839 in cambio di un vitalizio di 1500 lire annue, che sarà assegnato al Callani a partire da quell’anno.
La tavola della Galleria è una replica di un altro autoritratto della pittrice, su tela, di uguali dimensioni e analogamente firmato e datato, conservato nella Galleria d’Arte Moderna di Milano (inv. 5482). Entrambe le opere vennero eseguite in quel breve giro d’anni in cui la pittrice, poco più che ventenne, ma già dotata di notevole talento, stava riscuotendo un certo consenso in ambito locale, tanto da ricevere il suo primo incarico pubblico. Nel 1800 la Callani dipinse su commissione dei monaci Cistercensi di Piacenza il suo unico quadro di grandi dimensioni: una pala d’altare raffigurante il Battesimo di Gesù nelle acque del Giordano per la chiesa di Quartazzola. Il dipinto, perdutosi a causa della trasformazione del luogo di culto in oratorio privato, si conosce solo dalla descrizione fornita dallo Scarabelli Zunti nelle sue memorie relative ai Callani: “Esso rappresenta il Divino Redentore nel mezzo alle acque del maestoso Giordano col Santo precursore Giovanni in atto di versare sul capo del Divin maestro le acque Battesimali. Sovrasta alle divine figure in mezzo alla focosa luce il Divino Spirito, e il fondo del quadro è fornito di rupi, d’alberi, ed un bell’orizzonte, e le acque limpide del Giordano”. Scrive ancora l’erudito parmense con malcelata enfasi, ma forse a ragion veduta: “Essendo questo quadro ben disegnato, ed essendo le figure quasi ignude, coperto il santo di rozze pelli di camelo con manto rosso con buono stile di pieghe, ed il Redentore con manto azzurro e piccol fascia, dipinto con una franchezza di pennello pari a più eccellenti maestri… fu contemplato in Parma e ne riportò grandi elogi, come pure fu esposto nella pubblica Chiesa di Piacenza, e fu lodato assai ed applaudito dai più intelligenti”.
Ci informa, inoltre, che esisteva pure un bozzetto originale conservato presso il signor Luigi Sormani di Soragna, anch’esso scomparso.
Il disegno a sanguigna col Battesimo di Cristo, conservato presso la Biblioteca Palatina di Parma (ms. Parm. n. 3724/127) che con molta probabilità si può riferire a questa pala, mancando il succitato bozzetto, potrebbe rivestire un interesse di non poco conto nel corpus delle opere della pittrice, se lo si considerasse eseguito da lei, come propongono Cirillo e Godi (1979b, I, p. 45). Ma se si accetta l’assegnazione dello schizzo a Gaetano Callani i cui caratteri stilistici sono stati ritenuti da Riccomini “pienamente nel suo gusto e d’altissima qualità”, allora lo si può considerare – come da lui suggerito – una traccia per istradare la giovane figlia nel suo primo incarico pubblico (1977a, p. 184; 1979a, p. 184). Quale che sia la realtà, non si può certo dimenticare lo stretto legame maestro-allieva che univa i due artisti e l’assidua frequentazione da parte di Maria dello studio paterno, con il conseguente scambio di idee e suggerimenti, fatti che giustificano ogni plausibile dubbio riguardo a tale quesito.
I pregi che furono riscontrati nella grande tela, equilibrio, eleganza compositiva e raffinatezza cromatica, qualificano anche l’autoritratto parmense, dove l’analisi dal vero e l’assimilazione del gusto classico, sono caratteristiche preponderanti. Col busto leggermente ruotato verso sinistra ma con il volto quasi frontale e lo sguardo intenso e fisso proiettato verso lo spettatore, la pittrice si ritrae vestita all’antica con un’acconciatura, agghindata secondo il costume greco, dove alcune ciocche di capelli disposte con estrema libertà e naturalezza incorniciano il viso. Un vezzo concesso perfino nei ritratti più severi dei maggiori esponenti del Neoclassicismo, quali l’Appiani e il Bossi, che la Callani aveva avuto modo di conoscere a Milano, quasi a sollecitare quegli afflati vitalistici, altrove inibiti. Lo sfondo paesaggistico, trattato con rapidi tocchi di colore giocati sui toni del verde chiaro, non presente nella versione milanese, come pure la veste rosata resa con pennellate sciolte e veloci, uniche eccezioni virtuosistiche di stampo ancora settecentesco, sembrano quasi stemperare l’impostazione più classica della figura.
Accomunati dalla medesima intensità espressiva, dalla stessa incisività nei tratti fisionomici, modulati da un impasto pittorico levigato e compatto, e dai passaggi chiaroscurali più delicatamente sfumati rispetto al dipinto con il Negroni, i due autoritratti si possono facilmente ricondurre a un disegno conservato presso la Pinacoteca Stuard di Parma. Seppur non si possa considerare a tutti gli effetti uno studio preparatorio, come qualcuno aveva ritenuto (Ceschi Lavagetto 1973b, p. 734), il carboncino, similmente firmato “R.to di Maria Callani fatto da sé”, appare piuttosto un esercizio autonomo, che la pittrice esegue con perizia e mano sicura. Più evidente, in questo caso, appare il riferimento ai grandi maestri del Rinascimento: il taglio quasi leonardesco del viso, la profondità espressiva, il chiaroscuro e il tratto lineare condotto con delicatezza, fanno di questa pittrice una sapiente interprete della cultura classica. L’immagine che la pittrice dà di se stessa si inserisce all’interno di quel processo di autocoscienza e di consapevolezza del proprio ruolo di artista donna, perfettamente in linea con quella cultura neoclassica ormai imperante alla svolta del secolo.