La piccola tela pervenne dalla collezione Sanvitale nel 1834 e, nell’inventario d’acquisto essa già compare al n. 32 come autografa di Benedetto Gennari.

Nell’Inventario del 1852 al numero 308 si specifica che l’“Apollo che suona la cetra” è di Benedetto Gennari, trattandosi però di “mezza figura copiata dal Guercino”.

Il riferimento d’origine all’allievo e stretto parente del Barbieri si deve, con tutta probabilità, a una scritta coeva – e mantenuta dal recente restauro – la quale sul retro della tela si legge ormai solo in parte: “Dono a me fatto (…) Pittore eccellente / adi 23 settembre 1658”.
La scritta compare come volutamente cancellata, così perdendosi il nome del pittore, e la volontaria rimozione che senz’altro risale a prima dell’acquisizione pubblica nel 1834, fu forse motivata da antiche, ignote ragioni di mercato. Ragioni che possono rapportarsi anche a quella produzione di bottega che, sui dipinti originali del maestro, vedeva spesso sommarsi la richiesta di copie, di repliche con più o meno varianti a seconda del capriccio della committenza.

Il Diario delle proprie opere venne tenuto da Benedetto Gennari solo a partire dal soggiorno parigino (1672), così che non abbiamo modo di verificare l’esatta corrispondenza al suo nome di questo Apollo, documentato, come detto, al 1658. Ma, soprattutto, non possiamo verificare se il dipinto sia stato una sua invenzione originale. Nell’ipotesi, invece, che si tratti davvero di una copia del Gennari dal Guercino, l’esame del Libro dei conti di quest’ultimo (pubblicato dalla Ghelfi 1997), ci fa notare come l’esecuzione di un tale soggetto a se stante da parte del grande centese si limiti a un Apollo da lui venduto nel gennaio del 1660 a quello stesso “Conte Cabrieli Castelano della Fortezza Urbana” cui già nell’agosto dell’anno prima, 1659, aveva venduto il pendant della Diana (ibidem, nn. 545 e 553, pp. 185 e 188). Se l’Apollo non è ancora stato identificato, la Diana si è invece riconosciuta in quella della collezione Palucci di Londra, e, se essa impugna la lancia ed è festeggiata dal cane quale dea della caccia, l’Apollo del nostro dipinto imbraccia la cetra quale dio della musica, caccia e musica essendo stati fra i migliori diporti in antico di un nobile dilettarsi; e anzi è da preferirsi la musica rispetto alla caccia, come spiega la stessa Diana, che infatti punta il dito al di fuori dello spazio del suo quadro, verso il secondo quadro, appunto dell’Apollo non ancora identificato.

La tela di Parma, dunque, è da collegarsi a questa vicenda pittorica del Barbieri: essa è più piccola, anche se di poco, rispetto alla Diana londinese (e quindi all’Apollo), ma – come già si è tentato di illustrare – l’iconografia e l’atteggiamento della Diana di Londra tradiscono un’immagine del compagno molto simile alla nostra, e questa pertanto, riteniamo, poté costituirne l’immediato precedente: fu forse dipinta dal Gennari su di un’idea del maestro e poi fu dal maestro stesso ripresa e rielaborata per farne l’Apollo subito a seguito della Diana: nello stesso periodo di tempo con lo stesso stile, assetto e composizione figurativa il Gennari dipingeva quella Fede (Hampton Court, inv. 671 ) che fu da lui mediata dalla Astrologia di Austin (Texas), dipinta dal Guercino nel quinquennio 1650-1655.

La presente opera non è stata presa in considerazione nello studio monografico dedicato a lui e alla bottega del Guercino da Bagni (1986). L’attribuzione a Benedetto Gennari si legge nel Ricci (1896), nel Thieme – Becker (1920) e in Quintavalle (1939).

Sul telaio l’ultimo restauro ha riapplicato il timbro ottocentesco dell’Accademia di Belle Arti di Parma, già apposto sul telaio originale; lungo il margine sinistro del dipinto, dall’alto al basso sono segnati a matita i numeri da 1 a 6 a un intervallo di 5 cm l’uno dall’altro. La stessa numerazione, pressocché del tutto lacunosa, si nota nel margine orizzontale in alto. Questo sta a significare l’uso del dipinto fattone in Accademia, per l’insegnamento del disegno.

Bibliografia
Inventario… 1852, n. 308;
Ricci 1896, p. 93;
Thieme – Becker 1920, XIII,
ad vocem;
Quintavalle A.O. 1939, p. 296
Restauri
1882 (S. Centenari);
1999 (Lab. Delta)
Scheda di Daniela Ferriani, tratta da Fornari Schianchi L. (a cura di), Galleria Nazionale di Parma. Catalogo delle opere Il Seicento, Franco Maria Ricci, Milano, 1999.