Secondo Ricci (1896) il nome del pittore sul retro della tavola venne “raschiato”; egli lesse “faciebat”, ma non parla affatto di “25”.

Quintavalle (1939) non menziona l’iscrizione correttamente ricordata dalla Ghidiglia Quintavalle nel catalogo della mostra (1968). L’inventario generale della Galleria di Parma conferma che il retro della tavola riporta “una iscrizione antica ad inchiostro nero la cui parte superiore forse è stata abrasa ancora leggibile: Faciebat… 25”. Un esame del dipinto nel museo, infatti, riafferma la presenza di questa antica iscrizione dalla data indeterminata.

Nella collezione Dalla Rosa-Prati l’opera è ascritta alla Scuola fiamminga, attribuzione a tutt’oggi mantenuta.

La Ghidiglia Quintavalle, tenendo conto dell’iscrizione sul retro, ha proposto la data 1625, epoca non in contraddizione con lo stile. L’esecuzione non manca né di qualità né di carattere; la tecnica sembra pienamente rispondere a quella d’un artista delle Fiandre, giudizio, questo, rafforzato dall’importanza nel tema pittorico del paesaggio silvestre, solcato da uccelli in volo, meno minuzioso e meno manierista rispetto a quello di Soens – a cui era stato accostato – che era già morto nel 1625. Le capacità espressive nella resa della vigoria fisica di Apollo e nel volto, devastato dal dolore, di Marsia paiono quindi opera di un artista più maturo di Soens, tuttora da riscoprire fra i predecessori di Rembrandt.

Iscrizione: sul retro, Faciebat… 25.

Scheda di Sylvie Béguin tratta da Fornari Schianchi L. (a cura di), Galleria Nazionale di Parma. Catalogo delle opere Il Cinquecento, Franco Maria Ricci, Milano, 1998.