- Titolo: Apollo e le Muse
- Autore: Giulio Campi (attribuito a)
- Data: 1550 ca
- Tecnica: Olio su tavola
- Dimensioni: cm 40 x 97
- Provenienza: Parma, collezione Dalla Rosa Prati, 1851
- Inventario: GN191
- Genere: Pittura
- Museo: Galleria Nazionale
- Sezione espositiva: Deposito
Attribuita nei vecchi inventari al Primaticcio, questa tavola fu successivamente passata al Tibaldi e posta in rapporto con l’opera di simile carattere giunta dalla collezione Zambeccari alla Pinacoteca bolognese (Ricci 1896; Quintavalle 1939, con riconoscimento di suggestioni da Michelangelo e Parmigianino).
Interessante è la proposta che vede le due testimonianze legate a un unico momento di committenza, anche se è difficilmente avallabile l’ipotesi di riferirle a un solo maestro.
L’opera parmense raffigura Apollo che suona la cetra, circondato dalle Muse; quella di Bologna rappresenta un episodio successivo del mito, ovvero la trasformazione in gazze delle Pieridi, che avevano voluto gareggiare nel canto con le Muse. Per motivi di fattura, e per i soggetti rappresentati, il Ricci (1896) aveva visto in entrambe le tavole la possibile origine da strumenti musicali, identificandovi parti di cembalo. A un cofano di cassone era invece collegata dagli inventari l’opera di Bologna; e alla provenienza da un fronte o spalliera di cassone era stata poi legata anche la tavola parmense, poi forse riadattata per farne copertura di una spinetta (Godi – Cirillo 1978). Qui la cornice con decorazione a motivi floreali corrisponde alle simili cornici della Madonna col Bambino e della Santa Caterina (inv. 475 e 477, vedi scheda n. 342), pure provenienti dalla collezione Prati e come questa inserite per un lungo periodo nel catalogo di Pellegrino Tibaldi.
Anche le Pieridi bolognesi, che nell’inventario settecentesco della collezione Zambeccari erano riferite al Bertoja, erano state passate a Tibaldi dalla guide della Pinacoteca di Bologna redatte da Mauceri e Guadagnini. Lo spostamento proposto al catalogo di Tiburzio Passarotti (Emiliani 1973) – attribuzione tuttora mantenuta (si veda Ghirardi 1986b) – ha confermato per questa tavola il riferimento a un’epoca più tarda rispetto a quella tibaldesca, già suggerito dal Briganti (1945).
Per entrambe le opere l’attribuzione a Tibaldi suggeriva comunque la presenza di quei richiami a Raffaello e Parma, con suggestioni michelangiolesche, che vi si possono sottilmente scorgere.
La tavola di Parma, dopo un lungo silenzio, è stata più di recente inserita nell’attività del lombardo Giulio Campi (Godi – Cirillo 1978), individuandovi contatti con le pitture di San Sigismondo e Santa Margherita a Cremona, fra nostalgia del manierismo romano – e veneto – e ancora una volta echi da Parmigianino.
A Giulio vengono fatti risalire i profili perduti, propri di alcune figure, come l’eleganza accurata e descritta delle acconciature e dei gesti. Rispetto alla tavola bolognese – dove pure non mancano elementi affini, che potrebbero anche suggerire ulteriori interessanti ipotesi di ricerca – quella parmense pare connotata da suggestioni di più antica estrazione, con più accentuati e riconosciuti elementi tratti dalla tradizione manierista di metà secolo, e riferimenti raffaelleschi in direzione peruzziana.