- Titolo: Annunciazione e Storie eremitiche
- Autore: Bottega bembesca
- Data: Terzo quarto del XV secolo
- Tecnica: Dipinti a fresco in terretta verde, trasportati su telaio tamburato
- Dimensioni: 65 x 233
- Provenienza: Monticelli d’Ongina, Rocca Pallavicino; dono della Curia vescovile di Fidenza
- Inventario: GN1535/1
- Genere: Pittura
- Museo: Galleria Nazionale
- Sezione espositiva: Dal Medioevo a Leonardo Ala Ovest
Gli affreschi, eseguiti su commissione di Carlo Pallavicino vescovo di Lodi, furono rinvenuti all’inizio degli anni Sessanta nell’ambiente immediatamente superiore alla più nota cappelletta decorata con le Storie di san Bassiano e altri episodi sacri, ancora in situ e per lungo tempo riferita a Bonifacio Bembo (Dell’Acqua-Mazzini 1965, tavv. 86-98).
Tranne la lunetta con l’Annunciazione che, per quanto compromessa, risulta abbastanza leggibile, le Storie eremitiche sono purtroppo in uno stato di conservazione assai precario e lacunoso documentato, ancora prima dello strappo ad opera di Renato Pasqui, da alcune fotografie.
Prima di affrontare la questione attributiva giova ricordare che secondo Quintavalle (1963) il soggetto degli episodi riguarda le Storie della vita di sant’Antonio da Padova, mentre per Cadei (1984), il quale li collega sul versante iconografico con il Libretto degli Anacoreti del Gabinetto Nazionale delle Stampe di Roma, si tratta delle Storie di sant’Antonio abate e Paolo eremita (dal punto di vista stilistico, invece, Cadei coglie agganci con i pannelli di storie veterotestamentarie delle più antiche vetrate del Duomo di Milano, attribuiti a Maffiolo da Cremona). Dai brani meno compromessi e dall’Annunciazione si può tentare un’analisi stilistica del complesso pittorico, che il Quintavalle in un primo momento (1962) ha assegnato al cremonese Bonifacio Bembo, con la collaborazione di aiuti, quindi (1963) al fratello minore Benedetto, forse sulla base di cartoni prodotti da Bonifacio, attribuzione generalmente accettata negli interventi successivi. Lo studioso aveva già notato che “la prossimità di mano del ciclo superiore e di quello inferiore, specie ora dopo lo stacco, è indiscutibile”: che si tratti di un problema cremonese è indubbio, vale quindi la pena di riassumere per sommi capi l’intricata questione bembesca. Risulta che figli di un Giovanni Bembo furono, oltre a un Lazzaro non noto per imprese artistiche, cinque pittori: Andrea, Girolamo, Bonifacio, Ambrogio e Benedetto. Per Giovanni e Andrea si è tentato recentemente di ricostruire, in massima parte a Brescia, un abbozzo di catalogo (Tanzi 1995), mentre di Girolamo e del figlio Romano non possediamo opere identificabili con sicurezza. Ad Ambrogio, invece, spetta un disegno del 1450 con Sant’Omobono e devoti nell’Archivio di Stato di Cremona, che si lega stilisticamente a una serie di opere in passato attribuite a Bonifacio (Boskovits 1988; Tanzi 1994). Le prime notizie relative a quest’ultimo iniziano nel 1444, ma le opere sicure sono solamente due, entrambe degli anni sessanta: i ritratti di Francesco Sforza e Bianca Maria Visconti in Sant’Agostino e la pala dell’altare maggiore del Duomo di Cremona, la Madonna col Bambino e due angeli (inv. 62 della Pinacoteca di Cremona). Sulla base di questi dipinti si è raccolto intorno al nome dell’artista un catalogo di dipinti tardogotici molto ampio, che le acquisizioni più recenti hanno in parte assestato su fondamenti meno nebulosi (per un riesame si veda Bellingeri-Tanzi 1992) che escludono fra l’altro decisamente l’impresa di Monticelli. Per quanto riguarda il fratello più giovane, Benedetto, l’unica opera firmata è il polittico di Torrechiara del 1462 ora al Castello Sforzesco di Milano, che dimostra un orientamento stilistico in direzione rinascimentale con caratteri accentuatamente ferraresi, nel solco del cantiere di Belfiore (e non è da escludere che fra i responsabili dell’impresa delle Muse possa celarsi il cremonese). In questo contesto si collocano la Madonna dell’umiltà e angeli del Museo “Amedeo Lia” di La Spezia, già riferita al Maccagnino e la Madonna col Bambino e angeli della Biblioteca Capitolare di Verona, restituite al pittore rispettivamente da Volpe e Romano.
Una simile fisionomia artistica consente di bonificare il catalogo di Benedetto da una serie di attribuzioni incongrue come quella degli affreschi di Monticelli d’Ongina. Questi formano un corpus omogeneo con tre pannelli del Museo di Cremona provenienti da un medesimo complesso (Madonna col Bambino, angeli e un donatore, San Giorgio e San Nicola da Tolentino), con la guasta Fuga in Egitto di San Michele, con il trittichetto Acton in passato riferito alla scuola di Andrea del Castagno e, probabilmente, con la Natività già nella raccolta Frascione (Tanzi 1997): opere in cui, se non la precisa identità di mano, si scorge la presenza unificatrice di una medesima bottega. Lo stesso accade per l’impresa di Monticelli: le Storie di san Bassiano, ad esempio, e molti Profeti del sottarco sono da collegare a una serie di tavole sinora credute di Bonifacio raffiguranti vari santi (Leicester, Lund, Bergamo, Châalis); mentre l’Annunciata monocroma deriva da un cartone bembesco utilizzato anche in un affresco già in San Barnaba a Brescia (oggi nella Pinacoteca Tosio Martinengo: Dell’Acqua-Mazzini 1965, tav. 409). Non vorrei spingermi troppo oltre, ma questo catalogo, che nasce in qualche modo dalle ceneri di Benedetto Bembo – o meglio, di una certa immagine del pittore che ancora oggi stenta a perdere quota – e risulta anche molto prossimo alla decorazione della Camera d’Oro di Torrechiara, è verosimilmente da collegare alle personalità meno indagate della famiglia cremonese, o a una bottega ad essa immediatamente contigua.