Registrato dagli inventari e dai repertori come ritratto di Michele Colombo in base alla dichiarazione del venditore, il pastello è stato oggetto di uno studio iconografico sull’abate Colombo, da cui è emersa l’estraneità fra questo ritratto e gli altri, eseguiti in diverse età, del letterato trevigiano vissuto oltre quarant’anni a Parma. Le diversità sono evidenti sia nella fisionomia che nelle vesti, l’abate infatti non adottò mai l’abito secolare che indossa invece l’effigiato. Quando il pastello fu venduto alla Galleria l’abate Colombo era morto da quasi mezzo secolo, restavano comunque diversi suoi ritratti, ad esempio quelli incisi per le sue opere, che si potevano prestare al confronto, eppure sono riportate soltanto testimonianze de visu, del resto quella identificazione in un personaggio autorevole contribuiva ad aumentare il valore dell’opera dal punto di vista iconografico.

Giusta è invece l’assegnazione a Lucatelli proposta da Francesco Scaramuzza che sicuramente conosceva altri ritratti del pittore marchigiano, discepolo di Anton Raphaël Mengs, eseguiti a Parma, dove soggiornò ripetutamente fra il 1782 e il 1808. Si ricordano i due dipinti a olio del Museo Glauco Lombardi: il ritratto di Paolo Maria Paciaudi e il ritratto di Giambattista Bodoni, provenienti entrambi dalla raccolta iconografica di Bodoni che comprendeva diversi ritratti, e forse anche il nostro, di mano del Lucatelli (Ricci 1834, p. 443), ne troviamo infatti altri elencati fra i quadri assegnati a uno degli eredi della vedova Bodoni dopo la sua morte nel 1841. Si tratta di un elenco parziale, che non rispecchia al completo la collezione di dipinti del Tipografo: infatti gli eredi della vedova erano più di uno. Comunque nella lista compaiono del Lucatelli ventisei copie a pastello della Cupola di San Giovanni, la Vergine beata a pastello, il ritratto del Correggio a olio, i ritratti a pastello dei coniugi Bodoni, del padre Paciaudi, dello scultore Comolli e del padre Antonini (Biblioteca Palatina di Parma, Archivio Bodoni, Quadri da me Dall’Aglio Ant.° ritirati di mia porzione, s.d.). Fu Bodoni appunto a sostenere sin dall’inizio il pittore – venuto a studiare le opere del Correggio come prescriveva il Mengs – ospitandolo, affidandogli disegni e vignette per le sue edizioni e procurandogli commissioni di ritratti e copie dal Correggio. Anche dopo il primo incarico pubblico, la realizzazione del Teatro di Tolentino iniziata nel 1788, Lucatelli sentì il richiamo di Parma: Bodoni infatti reclamava la sua presenza. Dal carteggio fra i due è evidente, oltre all’amicizia, quanto il Tipografo apprezzasse le sue doti di ritrattista e la sua perizia tecnica. Avevano fra l’altro in comune un preciso interesse, la carta: la produzione di disegni e pastelli era infatti predominante nell’attività di Lucatelli che sceglieva personalmente a Fabriano per sé e per l’amico le carte migliori, e in proposito lascia una testimonianza sul metodo per montare un dipinto a pastello, utile fra l’altro per il riconoscimento delle sue opere (ASPr, Comune, Autografi, b. 4398).

Nel 1803 fu incaricato dall’amministratore di Stato Moreau de Saint-Méry di riprodurre gli affreschi della Camera di San Paolo, per diffonderne la conoscenza dalla riscoperta del Mengs nel 1774, dopo due secoli di clausura. Da tempo aspettava l’incontro con “l’inaccessibile Camera”, ma il prestigioso impegno determinò invece la sua sfortuna, con accuse di lentezza, mancati pagamenti e, nel 1808, in seguito alle vicende politiche che determinarono l’allontanamento del Saint-Méry, la partenza definitiva per Tolentino con i disegni eseguiti. Risulta dai documenti che in quest’ultimo periodo parmense il pittore accettò altre commissioni, poiché si trovava nell’impossibilità di lavorare per la scarsità di luce nella Camera ed era stato privato dello stipendio. Questo ritratto potrebbe dunque essere datato verso il 1808, datazione che non contrasta con l’età dimostrata dall’effigiato, l’architetto Angelo Rasori (Parma 1744-1831), che nel 1808 aveva sessantaquattro anni (ASPr, Comune, Morti 1831, n. 629). Il personaggio è stato identificato grazie al confronto con il Ritratto degli architetti Angelo, Giuseppe e Pietro Rasori assegnato ad Antonio Pasini e datato 1815 (cfr. scheda n. 866) (Cirillo 1992c, scheda n. 63), dove è lampante la coincidenza della fisionomia di Angelo con quella del nostro, identici persino nella definizione dei segni di espressione, dei capelli e dell’abito, così da far pensare che Pasini si sia servito del pastello per raffigurare Angelo, ipotesi che deriva dall’atteggiamento rigido delle tre figure quasi assemblate in studio piuttosto che ritratte dal vero, soprattutto a confronto con la naturalezza del ritratto di Lucatelli, che suggerisce con tocco leggero i segni del tempo e sintetizza, come attraverso un velo, l’espressione affabile e intelligente di Angelo Rasori. Le date di esecuzione delle due opere, 1808 circa e 1815, confermerebbero questa ipotesi. Inoltre si può aggiungere che Lucatelli conosceva Antonio Pasini, nominato fra gli amici di Parma nelle lettere al Bodoni da Tolentino scritte fra il 1808 e il 1810 dopo la sua partenza da Parma. La conoscenza risaliva sicuramente al 1803, quando Lucatelli fu eletto professore con voto nell’Accademia parmense, dove era già attivo Pasini, del quale fra l’altro Bodoni era amico e committente. In questo intreccio di rapporti, che fa capo al Tipografo, rientra anche il conte Stefano Sanvitale, che Lucatelli incontrò a Roma tramite Bodoni. Angelo Rasori, allievo del Petitot, era architetto di fiducia del conte e per le sue nozze nel 1787 eseguì il progetto di ammodernamento del palazzo di città (Cirillo – Godi 1988, p. 49). In quello stesso anno Lucatelli, che fu anche progettista e decoratore di teatri, terminava a Parma il disegno del Teatro di Tolentino; non è quindi escluso che fra i due vi siano stati a quell’epoca contatti in materia di architettura, solo più tardi comunque Lucatelli dipinse, forse per incarico di Bodoni, il ritratto di Rasori, già noto a Parma per le sue opere (Orto Botanico, Palazzo Meli Lupi in via Ponte Caprazucca, facciata della chiesa delle Cinque Piaghe in via Farini, radicalmente trasformata nel 1913 quando fu ridotta a uso privato) e capostipite di una famiglia di architetti.

Bibliografia
Pigorini 1887, p. 32;
Ricci 1896, p. 252;
Thieme – Becker 1929, p. 304;
Bénézit 1952, p. 608;
Allegri Tassoni 1956, p. 271;
Coghi Ruggiero 1991, p. 3;
Agazzi 1995, pp. 61-63, 82;
Musiari 2000, p. 94
Nicoletta Agazzi, in Lucia Fornari Schianchi (a cura di) Galleria Nazionale di Parma. Catalogo delle opere. Il Settecento, Franco Maria Ricci, Milano 2000.