- Titolo: Amore e Psiche
- Autore: Francesco Scaramuzza
- Data: 1833
- Tecnica: Olio su tela
- Dimensioni: 123 x 152
- Provenienza: Parma, Accademia di Belle Arti, donato da Maria Luigia nel 1836
- Inventario: Inv. 84
- Genere: Pittura
- Museo: Galleria Nazionale
- Sezione espositiva: Deposito
La critica ha individuato in quest’opera un ampio ventaglio di consonanze francesi a cominciare da Paolo e Francesca di Ingres, che Scaramuzza poteva aver visto a Roma in una delle versioni autografe, ma soprattutto è stato indicato come modello Amore e Psiche del Louvre di Gérard (1798) tradotto in incisione. Doveva inoltre conoscere la scultura di Canova raffigurante lo stesso tema, di cui Toschi possedeva il modello in terracotta. Infine è stata rilevata una continuità stilistica con Prud’hon, maestro di pittura di Maria Luigia.
Da qui si può dedurre per sintonia di gusto l’acquisto della duchessa, favorito sicuramente dal complice consiglio del Toschi, grazie al quale Scaramuzza era stato proposto Accademico d’onore nel 1831 e l’anno dopo professore consigliere con voto (Archivio dell’Accademia di Belle Arti di Parma, Atti 17 novembre 1831 e 17 aprile 1832). L’acquisto avvenne nel 1833 quando si erano smorzati a Corte i sospetti nei suoi confronti di idee sovversive. La benevolenza della duchessa, dalla quale aveva già ottenuto l’alunnato di tre anni a Roma, era dunque riconquistata e proprio da qui ha inizio la serie di commissioni ufficiali che lo vedono ininterrottamente impegnato su diversi fronti come pittore di punta del ducato di Maria Luigia, proclamata Minerva protettrice delle scienze e delle arti nel riquadro centrale del soffitto della Sala di lettura della Biblioteca Palatina, eseguito proprio fra il 1833 e il 1834.
Il soggetto mitologico della tela, tratto dalle Metamorfosi di Apuleio, motivo d’ispirazione molto diffuso soprattutto in Francia tra ’700 e ’800, offriva l’occasione per coniugare il bel disegno e la plastica dei corpi con il sentimento romantico espresso dall’abbraccio dei due amanti, senza trascurare la possibilità di comunicare un significato morale, sottinteso proprio in questo passo finale della vicenda di Amore e Psiche, finalmente congiunti dopo aver superato una serie di prove. L’ambientazione paesistica ricalca lo schema arcadico già adottato in Silvia e Aminta (inv. 90; cfr. scheda precedente), troviamo lo stesso fondale di morbide colline, immerso in un’atmosfera densa, interrotto a sinistra da una quinta alberata, mentre in basso, disposti ad arte nell’angolo, fanno natura morta gli attributi dei personaggi, là il bastone nodoso del pastore sul terreno nudo fra un cespo isolato e una pietra, qui la faretra di Eros, lucente e decorata, che gareggia con i fiori. Proprio nella vegetazione in primo piano, indagata fiore a fiore in una varietà botanica quasi da campionario, che crea un soffice cuscino alle tenere membra di Psiche, si gioca la diversità ambientale e quindi la novità in termini di preziosa eleganza, francese appunto, rispetto alla tela precedente. Ricordiamo allora a proposito di ombrosi sottoboschi, la teletta di Prud’hon al Museo Glauco Lombardi raffigurante il piccolo re di Roma in sembianza di Amore addormentato fra il verde che gli fa da culla, impalpabile ritratto di Franz e triste presagio: moriva infatti ventenne nel 1832. Ma in quegli anni non vi furono nella vita della duchessa solo eventi tristi, che le immagini potevano rievocare e anche alleviare. Proprio nel 1833 infatti la figlia Albertina sposava il conte Luigi Sanvitale, la tela poteva quindi diventare un perfetto dono nuziale e comunque si prestava per l’evento. Queste considerazioni furono forse tenute presenti dal pittore al momento dell’elaborazione del tema, ma certo fu frutto di calcolata ponderazione l’idea di spargere fiori a piene mani e in primo piano. Era infatti ben nota la passione di Maria Luigia che nel suo libro verde scriveva: “Le donne devono amare i fiori, esse devono coltivarli, dipingerli, disseccarli e imitarli: ma rinunciare a ornarsene quando hanno passato i quarant’anni” (Prampolini 1991, p. 152). La rappresentazione del mito di Psiche fu sempre corredata da una cornice botanica in sintonia con il tema sensuale, come ad esempio la decorazione lussureggiante della Loggia di Psiche alla Farnesina, che Scaramuzza dovrebbe aver guardato a Roma nel corso delle sue peregrinazioni raffaellesche, anche perché Villa Chigi era stata in seguito residenza dei Farnese e dei Borbone. Il tema poi non fu mai disgiunto dalle vicende sentimentali dei committenti: gli affreschi di Raffaello coronarono infatti le nozze di Agostino Chigi, mecenate del Rinascimento. Nelle figure di Scaramuzza non vi è comunque nulla del risalto statuario e del vigore che Raffaello aveva espresso nella Loggia, se mai si riconosce ancora una volta il tipo femminile del Correggio nella timida bellezza di Psiche e nella grazia con la quale inclina il capo quasi a voler moderare l’abbraccio di Cupido. Per il resto il tono è decisamente moderno, specialmente nella limpidezza cromatica, rinvigorita da lampi di luce squillante con effetti di trasparenza sulle epidermidi, alla maniera dei puristi. La stesura smaltata dei colori è perfetta per il soggetto dilettevole, che sembra qui assunto nella versione galante e ironica della favola data da La Fontaine nel suo romanzo ambientato a Versailles con lo scopo dichiarato “toujours de plaire”, conforme al gusto del secolo, concluso con l’inno alla voluttà di universale gradimento: “J’aime le jeu, l’amour, les livres, la musique…” (La Fontaine, Les amours de Psyché et de Cupidon, Paris 1669, p. 438). Gioco e leggiadra finzione accompagnano Cupido con quelle ali di spesso piumaggio, evidentemente posticce, sospese nella loro rigidità di oggetto scenico, in contrasto con la scioltezza delle figure legate in un tenero abbraccio, che per l’abile intreccio dei gesti non compromette il pudore nonostante la nudità, composizione perfetta e possibile archetipo per una delicata maiolica. Sullo stesso tema Scaramuzza dipinse un bozzetto a olio, considerato la prima idea del dipinto, dove i due amanti distesi si offrono allo sguardo, una versione meno casta che non sarebbe stata adatta per quella destinazione. Nel 1845 Angelo Rossena eseguì, su commissione di Maria Luigia, una copia ad acquarello della tela, offerta come premio della lotteria di fine anno (ASPr, Casa e Corte di Maria Luigia, Cassetta particolare, b. 335).