Così Vasari ricorda quella che è forse la più nota pala di Girolamo Bedoli: “In Parma a i frati di San Francesco conventuali fece la tavola dell’altar maggiore, dentrovi Giovacchino cacciato dal tempio, con molte figure”.

Il 9 gennaio 1533 la confraternita della Concezione presso San Francesco del Prato a Parma commissionò al pittore e a suo suocero Ilario Mazzola questa grande tela con un contratto nel quale si legge: “…deto maestro Pietro Ilario et Jeronimo suo genero debbano pingere una tavola o sia anchona di boni colori fini secondo il disegno dato per loro pictori et exposto et laudato per detta compagnia et questo per uno anno proximo da cominciare in calende de Junio proximo et finire come segue” (Ronchini 1881). Al 9 settembre 1536 data l’ultimo pagamento (Milstein 1978, pp. 252-253) a Giovan Francesco Zucchi per aver portato a termine il supporto ligneo e l’intaglio per l’ancona.

La pala doveva essere pronta prima del 4 dicembre 1537, mentre il saldo finale per l’intero lavoro, di 100 lire (Ronchini 1881, p. 245), fu accreditato al Bedoli in data 5 novembre 1539; dal maggio 1533 al gennaio 1538 (Milstein 1978, pp. 254-257) si collocano altri documenti riferiti alla doratura, alle lettere intagliate nell’ancona, e ancora pagamenti a persone per il trasporto del basamento. Prima del suo trasferimento in Francia nel 1803, la pala è ricordata fra gli altri dal Ruta (1752, 1780) e dallo Zappata (1690), dal Baistrocchi (1780, pp. 39-40) e dall’Affò (1796). Ritornata a Parma nel 1815, fu collocata in Galleria all’inizio dell’anno seguente (Ricci 1896); mentre la cornice (dal 1813 nella chiesa della Santissima Trinità), fu acquistata su suggerimento del Ricci, per la Galleria Nazionale; così il dipinto fu ricomposto nella sua ancona originale.

Un’opera dunque dall’iconografia complessa per la quale si rimanda allo studio del Ricci del 1896; mentre il commento più recente della Ghidiglia Quintavalle (1968) è quanto mai attuale: “…l’ancona non è una semplice cornice ma una vera inquadratura scenica, che guida il nostro sguardo e la nostra attenzione al susseguirsi drammatico del racconto dal primo piano al fondo; un racconto in cui il percorso, sinuoso e complesso, è scandito da gruppi di figure vive, da statue, monumenti classici e paesaggi profondi. Una commistione che  è caratteristica dominante di tutte le sue opere…”. La scena è introdotta dalla figura virile sdraiata in basso, in primo piano, concordemente ritenuta l’autoritratto del maestro.

Scheda di Mario Di Giampaolo tratta da Fornari Schianchi L. (a cura di), Galleria Nazionale di Parma. Catalogo delle opere Il Cinquecento, Franco Maria Ricci, Milano, 1998.