- Titolo: Alessandro Farnese alla battaglia di Lepanto
- Autore: Francesco Scaramuzza
- Data: 1826 (I Premio)
- Tecnica: Olio su tela
- Dimensioni: 101 x 148
- Provenienza: Parma, Accademia di Belle Arti
- Inventario: Inv. 741
- Genere: Pittura
- Museo: Galleria Nazionale
- Sezione espositiva: Deposito
Con quest’opera Francesco Scaramuzza, ventitreenne allievo dell’Accademia parmense, vinse nel 1826 il concorso annuale.
Il corpo accademico che aveva assegnato il tema espresse il seguente giudizio finale: “Tutti, ma principalmente la Sezione di Pittura, lodò grandemente il partito ch’Ella seppe trarre da un soggetto per se stesso di eseguimento alquanto arduo, il bel fuoco e il movimento de’ personaggi e dell’azione, e la diligenza e industria del lavoro. Ella è messa così in condizione di godere della munificenza e de’ nobili incoraggiamenti di S.M., e in virtù di sì fatto premio autorizzata a recarsi a Roma per esercitare il suo ingegno, e la sua mano nel corso di 18 mesi alle già dichiarate spese dello Stato, e procacciar nominanza a sé e alla Patria”.
L’allievo dimostrò senza dubbio di aver appreso gli insegnamenti del maestro di composizione Antonio Pasini, del quale però aveva anche assunto il modo rigido di atteggiare le figure. Riesce dunque difficile prender parte alla scena qui raffigurata, che pure è d’azione. La battaglia infuria sul ponte di una nave, i nostri avanzano e al centro si fa onore il duca di Parma che atterra l’infedele e con sguardo truce sta per colpirlo a morte. Si rappresenta un momento culminante della battaglia di Lepanto (7 ottobre 1571) tra le flotte dei principali Stati cristiani e dei turchi ottomani. L’iconografia stabilita dall’Accademia intendeva rievocare questo fulgido episodio della vita di Alessandro Farnese, gloria del ducato da tramandare ai posteri. In risposta allo scopo celebrativo Scaramuzza si cimentò su un formato abbastanza grande, con il rischio di amplificare la retorica e di incorrere in un pompierismo ante litteram. In effetti sembra proprio voler dimostrare come padroneggia con franchezza il disegno in una composizione ampia e complessa e come governa la prospettiva, di cui fa sfoggio con le lance sparse e quel corpo a terra scorciato alla maniera di Paolo Uccello nella Battaglia di San Romano.
I personaggi sono dislocati a una certa distanza l’uno dall’altro, lo spazio necessario a compiere il loro gesto lento ed enfatico, fissato nella sua massima espressione, movenze che sembrano prese a prestito dalle scene, per quelle braccia lanciate in alto sospinte da un’ira concitata e per quella mimica furibonda; anche nelle retrovie non c’è groviglio, come dovrebbe essere in un combattimento, ma figure ordinate, disposte in modo da non intralciare l’azione dei protagonisti. Tutto è finzione e il conflitto espresso dal tema si può trovare se mai nel contrasto fra i costumi variopinti dei turchi e le argentee armature dei cristiani.