- Titolo: Alessandro e il suo medico Filippo
- Autore: Constantin Vanche
- Data: 1785 (I premio)
- Tecnica: Olio su tela
- Dimensioni: cm 99 x 148
- Provenienza: Parma, Accademia di Belle Arti
- Inventario: Inv. 9
- Genere: Pittura
- Museo: Galleria Nazionale
- Sezione espositiva: L'Accademia
Il bando del concorso di Pittura dell’Accademia Reale di Belle Arti di Parma per l’anno 1785 disponeva di illustrare: “Alessandro giacente nel letto, [che] colla sinistra mano stende a Filippo la lettera in cui Parmenione l’avvertiva di non affidare la sua vita a quel Medico […] Alessandro nel tempo medesimo colla mano destra afferra la tazza, che gli offeriva Filippo, e sta in atto di beverla intrepidamente” (Pellegri 1988, p. 212).
Era compito dei pittori contrapporre “la meraviglia, e lo sdegno dell’innocente Filippo” alla “sicurezza, e […] magnanimità dello sforzo d’Alessandro”, e amplificare il confronto tra i due personaggi introducendo nel quadro “alcuni […] Capitani, ed amici, da cui saranno variamente espressi gli affetti […] gli animi agitati, e divisi i pensieri” (Pellegri 1988, p. 212). Vinse il primo premio il quadro contrassegnato dal motto “ce sont des jeux pour vous, et non point pour ma Muse”, dipinto dal ginevrino Constantin Vanche, che gli Atti dell’Accademia definiscono “Allievo del Sig. S.t Ours dell’Accademia di Francia” (Pellegri 1988, p. 215), fornendoci così alcune notizie su un pittore altrimenti poco documentato. L’apprendistato del pittore presso il Saint-Ours si svolse a Roma, dove Jean-Pierre Saint-Ours (1752-1809) era giunto nel 1780 come vincitore del Grand Prix de Rome. Vanche frequenta Saint-Ours negli anni in cui lo stile del maestro diventa, sotto l’influsso delle riflessioni filosofiche di Rousseau e della lettura di Plutarco, sempre più austero e “spartano”. I giudici accademici riconoscevano l’esempio “del Pussino, che sì bene seppe imitare gli antichi” (Pellegri 1988, p. 214) dietro l’impianto strutturale, luminoso e cromatico del quadro. Si può in effetti ritenere che il modello tenuto presente da Vanche sia la celebre Morte di Germanico di Nicolas Poussin (Minneapolis, Institute of Arts). Rispetto al prototipo secentesco, però, il pittore ginevrino riduce il numero dei personaggi e ne misura i gesti.
In questo modo, grazie anche a una illuminazione sapiente, dà vita a una scena misurata, raccolta e silenziosa, appartata dal tendone che racchiude l’azione avvicinandola allo spettatore. Il grande drappo verde crea una zona d’ombra che filtra e raffredda i colori: ciò permette a Vanche di sottolineare la contrapposizione fra i due perni cromatici del dipinto: il torso illuminato di Alessandro e il mantello rosso acceso di Filippo, che spiccano sulle tonalità spente degli abiti degli astanti. Il “franco maneggio del pennello” (Pellegri 1988, p. 214) si unisce però a un “disegno delle figure poco corretto” (Pellegri 1988, p. 215), e a una “mancanza di giustezza nelle proporzioni e nei piani” (ibidem), dovuta forse alla scarsa esperienza del pittore nell’organizzare gruppi di figure in dipinti articolati e complessi.
Vanche esibisce la sua conoscenza dei modelli statuari antichi nella conduzione di diverse figure, e soprattutto nel torso e nel profilo di Alessandro, ritagliati sul bianco delle coltri, probabilmente derivati dal rilievo del sarcofago di Meleagro con la storia di Achille e Patroclo. L’impianto “a bassorilievo” del dipinto, il dipanarsi castigato dei panneggi, e l’interpretazione in chiave morale ed esemplare dell’antico possono ritenersi conseguenza del tirocinio presso Jean-Pierre Saint-Ours avvenuto in anni tanto cruciali. Ciò rende il quadro, in quel 1785 che vede l’esposizione al Salon del Giuramento degli Orazi di Jacques-Louis David (dipinto che Vanche poteva aver visto a Roma, dove fu concepito), una chiara “avvisaglia del nuovo corso stilistico” (Godi 1974, p. XXVII). (E.O.)