• Titolo: Alessandro cede Campaspe ad Apelle
  • Autore: Pierre Rogat
  • Data: 1787
  • Tecnica: Olio su tela
  • Dimensioni: cm 97 x 135
  • Provenienza: Parma, Accademia di Belle Arti
  • Inventario: Inv. 3
  • Genere: Pittura
  • Museo: Galleria Nazionale
  • Sezione espositiva: L'Accademia

Al concorso di Pittura del 1787 nessuno dei nove concorrenti riuscì ad aggiudicarsi la prima corona; la seconda fu assegnata a pieni voti al dipinto che aveva per divisa il motto “Il est d’un Roi de se vaincre soi-même”.

Nel verbale della Distribuzione dei premi l’autore è indicato come “Signor Borel Parigino, Allievo del signor Monet Pittore del Re”. Se il maestro è agevolmente identificabile in Charles Monnet (1732-1808), pittore di storia, decoratore e disegnatore, allievo di Restout e agrée all’Académie Royale dal 1767 (Bénézit 1976, ad vocem), l’identità dell’allievo è rimasta fino a oggi celata, probabilmente a causa dell’errata trascrizione del suo nome sulle pagine degli Atti, dove è citato tre volte. Oltre che nel verbale menzionato, compare nell’elenco dei partecipanti al concorso (Atti…, vol. I, p. 273) dove è citato come “Pierre Borel parigino…”; l’anno successivo, quale vincitore della prima corona, è nuovamente citato come “Sig. Borel Rogat Parigino…” (Atti…, vol. I, pp. 290, 292). Non essendovi traccia, a queste date, di un pittore di tale nome, già l’Hautecoeur, nel suo saggio pionieristico sui concorsi dell’Accademia (1910, p. 160), si domandava quale fosse realmente il nome di questo artista e ipotizzava che la parola Rogat, scambiata per il cognome, non fosse altro che la terza persona dell’indicativo presente del verbo latino rogare, utilizzata come formula di ammissione al concorso.

Negli studi successivi, l’artista viene erroneamente ma concordemente identificato con Antoine Borel (Parigi 1743-1810), artista francese, attivo soprattutto nell’ambito dell’illustrazione e di cui è nota solo una produzione di disegni e incisioni, di prevalente soggetto erotico- mitologico o allegorico-politico (Pinault Sorensen 1996, p. 20). Mentre le opere di questo artista non rivelano alcuna affinità con il dipinto di Parma, quest’ultimo mostra sorprendenti analogie con lo stile di Louis Gauffier (1762-1801), pittore di storia, ritrattista e paesaggista, formatosi nella cerchia di David a Roma dove era giunto come vincitore del Prix de Rome nel 1784 e dove rimase, quale pensionnaire dell’Accademia di Francia, dal 1785 al 1788 e poi, come artista indipendente fino al 1793 (Marmottan 1926, pp. 281-300; Ottani Cavina 1994, p. 12, n. 22e passim).

Nel 1977 Sandra Pinto, confrontando la tela parmense con l’Alessandro ed Effestione di Gauffier (1789, Firenze, Galleria d’Arte Moderna) definiva Borel-Rogat come uno “sconosciutissimo sosia” di Gauffier, altrettanto “davidiano e plutarchiano” (Pinto 1977, pp. 617, 619), e rilevava le stesse tangenze di stile anche nel dipinto presentato al concorso dell’anno successivo, vincitore della prima corona (cfr. scheda successiva).
I legami con la colonia degli artisti francesi gravitanti attorno all’Accademia di Francia a Roma, denunciati dal dichiarato classicismo davidiano dei due dipinti, ci hanno indotto a consultare la Correspondance des directeurs de l’Académie de France à Rome che ci ha fornito un’importante traccia per l’identificazione del cosiddetto Borel-Rogat. Nel post scriptum alla lettera scritta da Ménageot al conte d’Angiviller,il 6 agosto 1788, all’indomani dell’assegnazione della prima corona al dipinto presentato in quell’anno dal nostro artista, si legge: “ho appena imparato che il sig. Roget, giovane pittore francese, amico del sig. Gauffier, ha vinto il premio a Parma; è da diversi anni che i Francesi, nelle tre arti, riportano i premi di questa Accademia.” (de Montaiglon-Guiffrey 1887-1912, vol. XV, p. 269). La testimonianza di prima mano di Ménageot, oltre a confermare i rapporti con Gauffier, restituisce all’artista il suo vero cognome, Roget, erroneamente trascritto negli Atti come Rogat. Tuttavia, poiché nei repertori biografici degli artisti francesi non è registrato alcun artista con questo cognome, riteniamo, per ragioni di cronologia e per l’identità del nome di battesimo, che l’autore dei due dipinti di Parma possa essere Pierre-Louis Roger (1772 circa-1824), pittore di storia, di genere e di ritratti, allievo all’Accademia Reale di Parigi (1787-1791), presente in seguito a diverse edizioni dei Salons, dal 1795 al 1824.
Le scarse notizie su questo artista(Bénézit, 1976, ad vocem; Dictionnaire general…, 1979, ad vocem), consentono di ipotizzare la sua presenza a Roma nel 1787 dove, incoraggiato e forse assistitoda Gauffier, avrebbe dipinto questa tela che si impone nel contesto dei premi accademici come una delle più precoci testimonianze della nuova pittura di storia inaugurata da David.

In attesa di riscontri che avvalorino questa ipotesi di identificazione, giova infatti sottolineare come il giovane outsider parigino si mostri pienamente padrone della “grammatica neoclassica” e collochi la scena entro uno spazio semplificato, scandito da un imponente colonnato ionico e dal taglio netto delle ombre. La chiarezza didascalica del racconto si avvale inoltre di una coreografia all’antica, particolarmente attenta al dettaglio del costume e dell’arredo. A questo proposito l’Hautecoeur rilevava lo scrupolo filologico dell’artista che, rifacendosi alla dibattuta questione sull’encausto, aveva messo tra le mani di Apelle un pennello munito di una piccola spatola per stendere la cera (1910, p. 161). Sul piano dei sentimenti, l’atmosfera appare invece un po’ allentata, ed è proprio questa variante più moderata del classicismo davidiano che giustifica il riferimento a Gauffier, la cui mitezza di temperamento si rifletteva, secondo la testimonianza unanime dei contemporanei, anche nel timbro delicato delle sue opere (Marmottan 1926, p. 282).

Oltre che con l’Alessandro ed Effestione già citato, la tela di Parma rivela analogie con il bozzetto dell’Incontro fra Augusto e Cleopatra (Parigi, coll. priv., cfr. Didier Aaron 1994-95, n. 13), modello preparatorio per il quadro commissionato nel 1787 dal conte d’Angivillier (1788, Edimburgo, National Gallery of Scotland), al quale Gauffier stava lavorando proprio nella primavera di quell’anno. Le affinità appaiono evidenti nell’impaginazione della scena, nella tipologia dei personaggi e nella scelta di gamme cromatiche preziose, ravvivate in questo caso da una stesura levigatissima. Particolarmente raffinato risulta l’accordo fra la veste bianca e il velo verde acqua della fragile Campaspe, particolarmente lodata dalla commissione probabilmente per l’eleganza del profilo e il disegno perfetto del panneggio. Le riserve espresse, a giustificazione della mancata assegnazione del primo premio, dovevano riguardare invece la figura di Apelle, non felicemente risolta e un po’ sbilanciata, e quella di Alessandro, che risulta eccessivamente effeminato. (E.C.)

Bibliografia
Atti… 1770-1793, vol. I, pp. 273, 275;
Ricci 1896, p. 2;
Hautecoeur 1910, pp. 156, 160-161;
Allegri Tassoni 1952, p. 28;
Pinto 1977, pp. 617, 620, nota 9;
Godi 1974, p. XXVII;
Cirillo – Godi 1979d, pp. 36, 47;
Allegri Tassoni 1979, pp. 211-212;
Pellegri 1988, p. 230