- Titolo: Alcibiade si avventa contro i soldati di Farnabaso
- Autore: Giorgio Scherer
- Data: 1856 circa
- Tecnica: Olio su tela
- Dimensioni: cm 110 x 147,5
- Provenienza: Parma, Accademia di Belle Arti; in deposito presso Istituto di Medicina Veterinaria, 1930; in Galleria dal 1938
- Inventario: Inv. 719
- Genere: Pittura
- Museo: Galleria Nazionale
- Sezione espositiva: Ottocento a Parma
Fin dall’epoca del riordinamento dell’Accademia attuato da Maria Luigia per i vincitori del Gran Premio annuale era d’obbligo, una volta raggiunta Roma, inviare durante i primi nove mesi di soggiorno una copia “di qualche gran maestro della scuola Romana”; mentre nel tempo che rimaneva un dipinto di loro composizione “il quale non contenga meno di una mezza figura grande al vero”. La prima opera che Scherer inviò da Roma dove si trovava nel 1856, dopo la vincita del concorso del 1853, fu una copia da un tondo con la Poesia di Raffaello Sanzio, da una “stanza vaticana”.
Elogiato per il buon colorito, risultava piuttosto stentato nella resa in piano dello scorcio proprio dell’affresco, il dipinto venne esposto nel 1856 alla Società di Incoraggiamento e quindi portato nella Camera di San Paolo dove era ancora esposto nel 1884. Segnalato nel Catalogo della Pinacoteca di Pigorini (1887) e in alcuni elenchi manoscritti con il numero d’inventario 734 (documentazione presso l’Archivio della Soprintendenza), non compare più nelle successive guide e inventari della Galleria, sembra essere andato disperso.
Unica testimonianza del saggio d’obbligo inviato dal pittore da Roma resta, quindi, questo Alcibiade, figura intera di composizione. Unanimi furono le lodi profferte dai professori accademici della commissione giudicatrice: “Piacque l’Alcibiade pel concetto forse nuovo… buona l’esecuzione… che se in poche parti del dipinto si trovano alcune mende per un colorito alquanto freddo,… nullameno sì per le difficoltà vinte nel ritrarre al vero l’atteggiamento quasi istantaneo dell’Alcibiade” (Atti… 1853-1857) e superò le aspettative che l’Accademia aveva riposto in lui, tanto da reputare ben fondate le speranze riguardo al suo avvenire.
Giudizi con i quali non si può che essere d’accordo, tali dovettero essere la pratica, il tanto auspicato esercizio dal vero, la preferenza, non casuale, di ritrarre la figura di un grande eroe greco, la frequentazione con i classici che portarono lo Scherer a discostarsi dalle soluzioni ancora di memoria settecentesca adottate nell’Abdalomino (inv. 716; cfr. scheda precedente) privilegiando, seppur con un’impostazione rigorosamente accademica, ancora con qualche difficoltà nel disegno, una più libera e incisiva interpretazione espressiva. Non è forse un caso, o fu solo per l’ennesimo incoraggiamento, che il dipinto venne esposto ben due volte quell’anno dando così modo a molti di apprezzare i profitti negli studi fatti a Roma.