Nel 1764 l’Accademia di Parma, interrompendo la serie di temi classico-mitologici fino ad allora proposti, chiese agli artisti in gara per il disegno di Composizione di cimentarsi con un soggetto religioso tratto dal libro del Genesi. Essi dovevano raffigurare Agar abbandonata nel deserto con il figlio Ismaele, consolata e soccorsa dall’angelo del Signore.

La corona della vittoria fu assegnata a quest’opera di Vincenzo Valdrè. Soprannominato il “Faenza” dalla sua città di origine, Valdrè si era trasferito a Parma in giovane età. Figlio di un guardarobiere di Corte, era riuscito a entrare nelle grazie del ministro Du Tillot e ad accedere all’Accademia di Belle Arti come allievo di Giuseppe Baldrighi (Cirillo 1995, p. 58). Eppure questo disegno mostra esili tracce dello stile del maestro, a queste date già permeato di cultura francese, e sembra piuttosto rifarsi alla matrice bolognese della sua formazione antecedente il soggiorno parigino.
Nel pieno rispetto di quanto raccomandato dal bando di concorso, Valdrè dispone il fanciullo in lontananza, affidando il primo piano all’Angelo e ad Agar, “che nel volto veder fa l’affanno materno per la pietà del figlio languente” (Pellegri 1988, p. 50).
Il loro intenso gioco di sguardi costituisce il perno della composizione. La posa di Agar si rifà a quella di alcune figure di Donato Creti (in particolare la Fanciulla con fiore e la Fanciulla in riposo delle collezioni comunali d’arte di Bologna), mentre l’intensa espressione del volto richiama alla memoria le Maddalene di Guido Reni. Essa è inoltre molto somigliante a quella della Carità romana dipinta dal Baldrighi nel 1756, oggi al Museo di Angers. Il panneggio è ampio, lento, cadenzato. Esso conferisce compostezza, solennità e monumentalità alla figura, avvolgendola in larghe pieghe, morbide per l’abile gioco chiaroscurale e le sapienti lumeggiature di gessetto bianco. È lo stesso modo di trattare le vesti che troviamo in un disegno di Baldrighi raffigurante la Morte di Catone, datato agli Anni cinquanta del XVIII secolo e conservato in collezione privata. Ma l’abilità grafica di Valdrè si evidenzia soprattutto nell’angelo, nel modo in cui egli riesce a rendere le differenze materiche fra la nuvola, impalpabile e soffice, le ali, splendidamente tratteggiate, e la veste leggerissima, capace di arricciarsi in volute graziose. È quest’ultimo dettaglio che testimonia una certa attenzione dell’artista per le declinazioni più rococò dell’arte del maestro.
Il disegno fu premiato “per il suo grandioso carattere, per la facilità dell’eseguimento, e per certa eguaglianza, che si è scorta nel tutto insieme”. Gli furono rimproverate solo la mancanza di “miglior proporzione delle parti, e nella figura di Agar più naturale l’espressione” (Pellegri 1988, p. 55). La critica odierna concorda col giudizio degli Accademici, e loda le qualità dell’opera soprattutto in confronto alla seconda prova di Valdrè in ambito parmense, il Sileno del 1765, di cui viene considerata “migliore nella sua spoglia depurazione compositiva” (Cirillo – Godi 1979d, p. 43). Dal punto di vista stilistico, infatti, Valdrè pittore si dimostra molto diverso dal disegnatore (cfr. scheda successiva).

Bibliografia
Pigorini 1887, p. 48;
Ricci 1894, p. 64;
Ricci 1896, p. 291;
Cirillo – Godi 1979d, p. 43;
Pellegri 1988, p. 55;
Cirillo 1995, p. 59
Restauri
1989 (Lab. Degli Angeli)
Mostre
Parma 1979
Marcella Culatti, in Lucia Fornari Schianchi (a cura di) Galleria Nazionale di Parma. Catalogo delle opere. Il Settecento, Franco Maria Ricci, Milano 2000.