- Titolo: Adorazione dei pastori
- Autore: Girolamo Siciolante da Sermoneta (bottega di)
- Data: Seconda metà del XVI secolo
- Tecnica: Olio su tavola
- Dimensioni: cm 88,7 x 74,7
- Provenienza: Parma, collezione Sanvitale, 1834
- Inventario: GN184
- Genere: Pittura
- Museo: Galleria Nazionale
- Sezione espositiva: Deposito
Il dipinto si trova in mediocre stato di conservazione e l’accurato restauro ha provveduto al risanamento della tavola e al consolidamento della pellicola pittorica. Ha consentito inoltre l’identificazione di antichi guasti e di abrasioni del colore. Alcune vistose cadute di colore sono visibili nella zona del cielo, risarcite dalla stesura dello stucco lasciato a vista, privo del ritocco pittorico. Il colore è particolarmente compromesso nelle zone d’ombra del mantello della Vergine, specie in corrispondenza delle spalle e del braccio, nella veste di san Giuseppe, nel mantello del pastore alle spalle della Vergine e in altre zone circoscritte.
La vicenda attributiva prende avvio dalla proposta ottocentesca in favore di Girolamo da Carpi, cui succede negli ultimi anni del XIX secolo l’orientamento in area romagnola con un successivo tentativo di accorpamento al catalogo di Luca Longhi, principale esponente di una bottega che a Ravenna occupò per intero le vicende della pittura nell’arco di un secolo.
A questa proposta si è affiancata nel nostro secolo l’osservazione perspicace e risolutiva dell’ascendente di un modello di Girolamo Siciolante da Sermoneta. È tuttavia da precisare che in realtà, già nella sua prima formulazione, il nome di Girolamo da Carpi fu avanzato in via puramente indicativa. Martini (1871) infatti riportava che si trattava di “tavola attribuita”, quasi a voler prendere le distanze da una tradizione non sufficientemente accreditata, e teneva piuttosto a precisare la buona qualità dell’esecuzione “qualunque ne sia l’autore”. Nella monografia dedicata all’artista, Serafini (1915) ricordava quest’opera solo in ragione delle precedenti citazioni, senza tuttavia esprimere giudizi personali a motivo della mancata conoscenza diretta. Si può forse addebitare a un mero equivoco infine il riferimento a Lelio Orsi formulato da Toschi (1900) in un contributo sul pittore novellarese per suggerimento di Adolfo Venturi, riferimento dovuto con tutta probabilità a uno scambio del tutto accidentale con l’altra Adorazione dei pastori (scheda n. 218) appartenente alla Galleria e anch’essa su tavola, che pure in seguito avrebbe recato un’attribuzione impropria a Lelio Orsi.
Nel frattempo, con Corrado Ricci (1896), la vicenda attributiva si è articolata nella variante romagnola destinata a una lunga fortuna (“Presenta caratteri comuni ai tanti pittori romagnoli che intorno alla metà del secolo XVI cercarono di imitare Raffaello”). L’ipotesi ha trovato consensi, sia pure con diverse sfumature, in Quintavalle (1939) che riferisce la tavola ad artista emiliano-romagnolo per le “influenze garofalesche, di Raffaello e anche bresciane, presso a poco come in Gerolamo da Carpi cui era anticamente attribuito”; opinione ripresa dalla Ghidiglia Quintavalle (1968d).
All’occhio esperto di Hermann Voss (1920) si deve l’impostazione risolutiva del problema critico. Nella sua opera fondamentale sulla pittura del tardo Rinascimento a Roma e a Firenze questi ricorda la Sacra Famiglia con l’arcangelo Michele e san Giovannino della Galleria Nazionale (inv. 74, scheda n. 160) fra le opere di Girolamo Siciolante da Sermoneta per annettere subito dopo al catalogo dell’artista, in modo quasi incidentale, l’Adorazione dei pastori qui esaminata, allora concordemente ritenuta di scuola romagnola.
L’ipotesi, in seguito trascurata e verosimilmente sfuggita alla critica, è stata ripresa da Bruno (1974) il quale, accettando il collegamento a Girolamo Siciolante, ha osservato che la tavola “non è altro che una replica dell’affresco in San Tommaso a Monte Cenci del 1565” accordando di conseguenza scarso credito all’ipotesi della sua esecuzione nel periodo piacentino dell’artista e osservando inoltre che delle invenzioni dispiegate nella cappella di Valerio Cenci della chiesa di San Tommaso in Cenci a Roma anche quella con l’Annunciazione aveva trovato trascrizione in un dipinto di Palazzo Caetani reso noto da Federico Zeri (1951, p. 149, nota 13; ed. 1994, p. 113, nota 13), verosimilmente eseguito su tavola come l’opera qui esaminata. Hunter (1983, 1996) infine, sviluppando le osservazioni di Bruno, ha affermato, a proposito della nostra Adorazione dei pastori, che “si tratta di una copia, non di mano di Siciolante, che manca della precisione dei particolari caratteristica dell’affresco di san Tommaso in Cenci”. Si può osservare che la composizione del dipinto, per quanto dipendente dall’affresco romano posto sull’altare della cappella Cenci interamente decorata da Siciolante con Storie della Vergine – modello che a sua volta suppone la tavola centinata con l’Adorazione dei pastori nella cappella della Natività in Santa Maria della Pace (Venturi 1932, p. 557, fig. 308, p. 587, fig. 333; Hunter 1996, pp. 164-166) – non si qualifica quale copia del tutto fedele, analogamente alla Annunciazione di Palazzo Caetani, anch’essa riportata da Hunter fra le opere impropriamente attribuite a Siciolante.
A un’attenta osservazione comparata si nota come il prototipo affrescato ha subito nella trascrizione parmense notevoli variazioni, specie nello sfondo dove la capanna ha preso il posto di un’ampia architettura diruta che impedisce la visione del cielo, ma anche nel diverso orientamento della testa di san Giuseppe e nella disposizione sovrapposta delle teste del bue e dell’asino, nell’affresco romano invece affiancate, oltre che nei dettagli più marginali del pastore che entra nella scena dal margine destro della tavola con il cappello in testa anziché a capo scoperto.
Resta innegabile lo scarto qualitativo che attenua nell’opera parmense la nobiltà del modello romano, così come la gracilità complessiva che trasmette un’impressione di legamenti allentati, specie in alcuni dettagli. In considerazione dell’esecuzione antica che tutto lascia intendere cinquecentesca e dell’intima adesione anche sul piano stilistico alla maniera di Siciolante, l’opera può essere riferita plausibilmente a un suo allievo-collaboratore. L’esecuzione potrebbe essere avvenuta all’interno della stessa bottega del maestro.