Nella sezione “Quadri a oglio esistenti in questa Accademia” dell’Inventario risalente alla fine del XVIII secolo (ma con aggiunte dei primi anni del successivo) al numero 24 troviamo questo “Piccolo quadro con cornice dorata e intagliata rappresentante la Natività di nostro Signore del Sig. Dietricth Sassone”, insieme alle tele di Doyen e Batoni, ai ritratti dei duchi, ai lavori vincitori dei primi concorsi.

Essendo il dato riportato anche nei successivi inventari e dal Toschi, sulla base di una nota di quello del 1852 il Ricci poteva affermare che questo dipinto faceva parte delle raccolte della Pinacoteca fin dai tempi di Don Ferdinando (scorretta la citazione del Quintavalle che lo dice segnalato in un Inventario del 1791, conservato presso la Soprintendenza BAS di Parma e Piacenza, ove in realtà non compare; questo tuttavia non implica necessariamente che esso entrasse in Accademia dopo tale data, trattandosi di un Inventario de’ mobili, in cui forse l’elenco dei dipinti non è completo); documenti e cataloghi non forniscono invece notizie riguardo alla provenienza del quadro (nel 1852 detta ignota) e alle modalità del suo ingresso in Accademia.

È comunque fatto già rilevante l’assodata individuazione dell’autore in Christian Wilhelm Ernst Dietrich, pittore e incisore in vita assai rinomato (nell’Enciclopedia… dello Zani, 1819-1824, p. I, v. VII, p. 325, risulta addirittura “detto dal Winkelman il Raffaello dei Paesisti”) anche se oggi meno conosciuto: avviato alla pratica artistica dal padre Gian Giorgio, all’età di quindici anni divenne allievo del paesaggista Alexandre Thiele, pittore di Corte a Dresda, recandosi quindi in Olanda tra 1734 e 1735 per studiare le opere dei grandi maestri fiamminghi, Elsheimer, van Ostade, Dujardin e in particolare Rembrandt. Fu nominato a sua volta pittore di Corte al servizio di Augusto III, elettore di Sassonia nonché re di Polonia (ma già aveva goduto della protezione del conte von Brühl, potente primo ministro) e fra il 1743 e il 1744 compì il viaggio in Italia, occasione per accostarsi ai paesaggi di Lorrain e Salvator Rosa. Rientrato a Dresda, dopo un secondo breve soggiorno in Olanda, vi si stabilì definitivamente, assumendo dal 1748 la carica di ispettore nella Galleria di Corte (cfr. Eiermann 1996, p. 289) con compiti di manutenzione e restauro, ma continuando comunque a produrre un gran numero di opere che gli valsero una solida fama; ad un certo punto si avverte nella sua pittura una fortissima influenza di Watteau, scomparso nel 1721 ma molto apprezzato in Germania fra Berlino e appunto Dresda, che lo porta a realizzare paesaggi perfettamente esemplati su quelli del maestro francese (cfr. Consigli 1990, pp. 175-177).

Dietrich fu artista di notevole abilità tecnica, ma privo di una reale forza creativa e di un carattere veramente personale, restando in sostanza un pasticheur, sia pure di gran classe (Bénézit 1955, pp. 263-265 cui si rimanda anche per la biografia) che utilizza le proprie straordinarie doti imitative per realizzare opere alla maniera dei grandi maestri del XVII e XVIII secolo, evocandone lo stile e traendo da essi motivi e particolari compositivi. Nel caso dell’Adorazione della Galleria Nazionale si evidenziano forti riprese da Rembrandt, in particolare dal dipinto della National Gallery di Londra, firmato e datato 1646, di cui Dietrich ripropone il tipo di ambientazione, in una stalla con impiantiti lignei sostenuti da travi e tramezzi, il motivo del Bambino sulla paglia da cui emana la luce che riverbera sui personaggi e nel grande vano buio, infine la tipologia stessa di alcune figure, come il vecchio con la lanterna o il pastorello col cane. Tutto è però condotto con una fattura meticolosa, in punta di pennello, e la scena, intimamente raccolta ed emozionale del prototipo (tratteggiata con una pennellata estremamente libera), si stempera quasi nell’aneddoto di genere: la luce è nitida, i gesti (in Rembrandt appena accennati e perciò tanto significativi) divengono enfatici e manierati, le figure aggraziate o colorite secondo i modi dei Bamboccianti, la composizione piacevolmente variata e ricca di dettagli narrativi, ma sostanzialmente convenzionale.

Opere di questo genere dovevano comunque avere un buon successo di pubblico ed è probabile che il soggetto venisse replicato più volte mutando la combinazione degli elementi, come sembrerebbe dimostrare un’incisione della raccolta Ortalli in Biblioteca Palatina a Parma (Scuola tedesca v. I, nn. 3597-3598), del tutto analoga al dipinto in esame per composizione e tipologia dei personaggi, con minime varianti nelle loro posizioni: il Bambino è fra le braccia della Madonna, san Giuseppe indica il cielo mentre è un pastore a spalancare le braccia, la lanterna è retta da un’anziana donna anziché dal vecchio con alto cappello, che comunque è presente. Va sottolineato infine che un altro riferimento sembra emergere nel quadro, quello alla Notte del Correggio, giunta a Dresda nel 1746 con l’ingente nucleo di dipinti della raccolta estense di Modena acquistati da Augusto III (sulla vicenda e sulla Galleria di Dresda cfr. Winkler 1989): come già sottolineava il Quintavalle, notevole è nel Dietrich “il ricorso correggesco dell’irradiazione di luce dal bambino” sia pure in forme convenzionali e nordiche, e forse anche il gesto del pastorello abbagliato che si protegge il volto pare adombrare quello di una delle donne astanti nel capolavoro del Correggio.

Per soggetto, carattere narrativo della composizione e anche per il richiamo alla tradizione cinquecentesca parmense, il quadretto ben poteva soddisfare i gusti del piissimo Don Ferdinando e dovette godere di una certa considerazione, vista la sua collocazione in Accademia; perciò tanto più interessante sarebbe capire in che modo pervenne a Parma. Il soggiorno del Dietrich in Italia risale a date troppo precoci per aver consentito contatti diretti in quell’occasione colla Corte parmense e dagli Atti dell’Accademia o nella corrispondenza non si sono rintracciate citazioni dell’autore o del dipinto (esistono tuttavia nelle carte lacune, soprattutto per i primi anni); un’ipotesi praticabile potrebbe essere quella del dono, magari da parte di Benigno Bossi, dal 1766 accademico professore e già allievo del Dietrich a Dresda (in particolare per l’incisione all’acquaforte, cfr. Fornari Schianchi 1979c, p. 123), o di uno dei tanti artisti nordici Accademici d’onore (cfr. Atti… 1770-1793, v. I, passim), o infine di qualche colto intellettuale, come poteva essere ad esempio l’Algarotti, amico personale del Frugoni e Accademico di fiducia a Venezia, che sappiamo avere avuto stretti rapporti colla Corte sassone in qualità di intermediario e procacciatore di dipinti in Italia: tante le strade possibili, per ora ancora nascoste nelle buste degli archivi e forse verificabili in avvenire.

Bibliografia
Inventario… fine del XVIII secolo, n. 24;
Inventario… 1819;
Toschi 1825, p. 14: Inventario…1852, n.113;
Inventario… 1874, n. 383;
Martini 1875, p. 43;
Pigorini 1887, p. 26;
Ricci 1896, p. 14;
Sorrentino 1931, p. 20;
Quintavalle A.O. 1939, p. 222;
Fornari Schianchi 1979c, p. 122
Restauri
1882 (S. Centenari)
Mostre
Parma 1979
Stefania Colla, in Lucia Fornari Schianchi (a cura di) Galleria Nazionale di Parma. Catalogo delle opere. Il Settecento, Franco Maria Ricci, Milano 2000.