È ripresa antica e di buona fattura dall’omonima opera oggi conservata nella Galleria Borghese di Roma, eseguita dal Tibaldi nel corso del soggiorno romano, fra il 1548 e il 1549. Interessante è l’attuale presenza del dipinto in ambito parmense, anche se per ora non è documentato il suo percorso storico.

La riproduzione dell’opera in un momento vicino alla sua esecuzione ad opera di un artista probabilmente collegato allo stesso ambito culturale attesta la fortuna dell’originale e un significativo apprezzamento per l’intera produzione del maestro da parte di un committente verosimilmente emiliano che giudicava importante possederne almeno una replica.

Possibili “tramiti” del passaggio potrebbero essere stati da un lato i Farnese, dall’altro lo stesso cardinale Poggi, committente delle più importanti opere bolognesi di Tibaldi. Le basi possono essere individuate ripercorrendo le informazioni note sul dipinto della Borghese, inquadrato nel periodo che va dalla collaborazione del giovane artista con Perin del Vaga nell’ultima sua impresa – la decorazione della Sala Paolina in Castel Sant’Angelo, affidatagli, non a caso, da Paolo III, papa Farnese – al momento più michelangiolesco di Trinità dei Monti dove, nella cappella della Rovere, il Tibaldi fu presente accanto a Daniele da Volterra. Agli esiti di Daniele, più che al precedente raffaellismo, si avvicinano i complessi scorci delle figure, con trascrizioni che ricordano – specie negli arditi nudi, come nell’immagine femminile in primo piano, quasi una Sibilla della Sistina trasposta in altro contesto – i grandi modelli di Michelangelo. Nella variante parmense tali suggestioni sembrano addirittura più evidenti. Quanto a Roma è sottolineato dall’elemento luministico, qui è interpretato tramite ombreggiature e colori a corpo.

Era stato proprio il michelangiolismo “nordicizzante” in senso lombardo del Tibaldi ad aver attratto il cardinale Poggi, divenendo elemento fondamentale per il passaggio del maestro a Bologna. Proprio a Roma si era avuto l’incontro con l’influente prelato, personaggio di ampi orizzonti culturali e politici, che l’avrebbe portato con sé, facendone, nei cantieri del palazzo di famiglia in San Donato e della cappella di San Giacomo, uno dei protagonisti e rinnovatori dell’arte bolognese di secondo ’500.

Scheda di Rosa D’Amico tratta da Fornari Schianchi L. (a cura di), Galleria Nazionale di Parma. Catalogo delle opere Il Cinquecento, Franco Maria Ricci, Milano, 1998.