- Titolo: Adorazione dei pastori
- Autore: Anonimo parmense
- Data: Seconda metà del XVI secolo
- Tecnica: Olio su tela
- Dimensioni: cm 36 x 64
- Provenienza: legato Molossi 1929
- Inventario: GN1150
- Genere: Pittura
- Museo: Galleria Nazionale
- Sezione espositiva: Deposito
Entrato in Pinacoteca nel 1929 dal legato Molossi insieme al n. 1142, il dipinto è segnato nel testamento del donatore (1927) come opera di pittore emiliano del XVI secolo e valutato lire 1000.
Il catalogo di Sorrentino (1931b) ne risolve l’incerta autografia proponendo il nome di Lelio Orsi, ma solo pochi anni dopo la piccola tavola è pubblicata dal Venturi (1933), insieme a un’altra Adorazione dei pastori della Pinacoteca (n. 31) con una nuova incerta attribuzione al Bertoja. Quintavalle (1939), riferendo l’opera a un seguace di Lelio Orsi, ne evidenzia la mancanza “di quella fantasia un po’ tedesca del particolare e di quel valore formale segnato in ogni movimento” che sono caratteri peculiari della mano del maestro. La cultura composita del dipinto rivela comunque un artista pienamente partecipe al gusto manierista della pittura parmense della seconda metà del ’500. Il pittore aderisce con decisione ai modi del Parmigianino, da cui trae le sagome allungate delle figure delineate da un tratto incisivo e contorto, e risente dell’influenza dell’Orsi nella luce vibrante che contorna con sottili filamenti le immagini. A ciò si aggiungono motivi tratti da Michelangelo e la riflessione sulla Notte del Correggio, da cui l’artista deriva la luce che si irradia dal Bambino al centro della tavola. Ne risulta una composizione ammanierata ed elegante, lontana dai toni agitati e drammatici di certe michelangiolesche creazioni dell’Orsi; è dunque l’opera di un collaboratore che traduce gli esempi del maestro in effetti di leggera e raffinata misura. L’accentuata deformazione delle anatomie, risolte in astratti arabeschi, la meticolosa descrizione di alcuni dettagli narrativi e la predilizione per linee taglienti accostano l’opera alla produzione dei numerosi artisti fiamminghi attivi in Emilia nella seconda metà del ’500. Alla stessa cultura di ascendenza nordica va legata la scelta del paesaggio creato da elementi architettonici che sembrano trasformarsi in grotte naturali e la fredda luce azzurrina del cielo notturno sullo sfondo.