- Titolo: Addio di Anchise al figlio Enea e alla Sibilla Deifobe alle porte dell’Averno
- Autore: Biagio Manfredi
- Data: 1780 (II premio)
- Tecnica: Olio su tela
- Dimensioni: 88 x 132
- Provenienza: Parma, Accademia di Belle Arti
- Inventario: Inv. 809
- Genere: Pittura
- Museo: Galleria Nazionale
- Sezione espositiva: Deposito
La seconda corona del concorso di Pittura indetto dall’Accademia di Belle Arti nel 1780 venne assegnata al quadro contraddistinto dalla divisa “sed falsa ad coelum mittunt insomnia manes”, opera del pittore reggiano Biagio Manfredi.
Nel rispetto di quanto raccomandato dal bando, la composizione e la distribuzione dei personaggi si rivelano molto simili a quelle del vincitore Wilhelm Böttner (cfr. scheda precedente). La commissione giudicò “vigorose… le tinte, bella la figura d’Enea, e ben trattato il fondo, ma… poco nobile l’atteggiamento dell’ombra di Anchise, e la figura un po’ peccante nel disegno” (Pellegri 1988, p. 170).
Effettivamente l’Anchise descritto da Manfredi si dimostra assai poco felice vicino al venerabile e dignitoso vegliardo di Böttner: avvolto in una veste trasparente, egli ci appare nudo, gracile, diafano, quasi patetico nell’esile figura, lontano dalla maestà e solennità che ci si aspetterebbe. La trasparenza del velo, se da un lato costituisce una dimostrazione dell’abilità dell’artista nel descrivere con veloci tocchi di luce il movimento di un materiale impalpabile, dall’altro, con il suo proseguire svolazzante oltre la soglia, risulta una leziosità gratuita in questo contesto. Decisamente più salda appare la figura di Enea, articolata in un gesto magniloquente e in netto risalto per i colori sgargianti delle vesti. In piena luce, egli contrasta sia con lo spettrale candore del padre sia con i toni cupi della Sibilla Deifobe, in ombra alle sue spalle. Il suo volgersi ancora verso Anchise si contrappone al gesto della figura femminile che, mentre guida l’occhio dello spettatore verso il livido sfondo sulla destra, allude alla presenza delle navi e alla necessità di proseguire il cammino. L’espressione del volto e la gestualità retorica dell’eroe, enfatizzata e sottolineata dall’ampio manto rosa che lo avvolge, hanno un sapore melodrammatico del tutto diverso dalla compostezza dignitosa dei personaggi di Böttner e dimostrano il rifarsi dell’artista a una cultura lontana dal Neoclassicismo che si andava affermando a queste date, legata ancora a un gusto tardobarocco.
I giudizi del concorso presentano il Manfredi come “scolare in Bologna del Sig. Abate Carlo Bianconi, ed ora sotto la direzione Sig. Pietro Ferrari Accademico Professore” (Pellegri 1988, p. 170). Dopo un periodo trascorso all’Accademia Clementina di Bologna, dove nel 1775 si era aggiudicato il premio Marsili Aldrovandi di seconda classe con un Cristo nel deserto tentato dal demonio (Atti dell’Accademia Clementina, vol. II, pp. 215-216), il pittore era infatti passato all’Accademia di Parma. È però difficile trovare traccia degli insegnamenti del Ferrari in questo quadro, dove nulla compare della precoce attenzione per il mondo antico e per il lessico neoclassico da questi dimostrata fin dagli Anni sessanta, mentre più chiari appaiono i legami con il mondo bolognese della prima metà del secolo e con il ritorno alla grande tradizione del ’600 promosso dal Bianconi.
Se si escludono i ritocchi dati “malamente” agli affreschi di Mattia Preti nella cappella delle Reliquie del Duomo di Modena che Campori attribuisce al Manfredi (Campori 1855, p. 384), questa “debole opericciola di stile tardo barocco” (Cirillo – Godi 1979d, p. 34), resta la sua unica realizzazione a noi nota.