- Titolo: Achille riconosciuto da Ulisse alla corte del re Licomede
- Autore: Giuseppe Fornaroli
- Data: 1795 (II premio)
- Tecnica: Olio su tela
- Dimensioni: cm 139 x 94
- Provenienza: Parma, Accademia di Belle Arti
- Inventario: 816
- Genere: Pittura
- Museo: Galleria Nazionale
- Sezione espositiva: L'Accademia
Nel 1795 “poiché nei sei quadri pervenuti con unanime consenso dei venti Accademici Votanti non si riconobbe merito sufficiente ad accordare la prima Corona” (Pellegri 1988, p. 295) venne assegnato soltanto il secondo premio.
Vincitore fu questo dipinto di mano del piacentino Giuseppe Fornaroli, studente presso l’Accademia di Parma come allievo di Gaetano Callani e già distintosi negli anni precedenti per il miglior disegno di Nudo (1790), la miglior composizione Plastica (1791) e il miglior disegno di Composizione (1794) (Scarabelli Zunti, Documenti…, ad vocem XIX secolo). Il tema proposto quell’anno ai partecipanti era la rappresentazione del momento in cui Ulisse, grazie a un abile stratagemma, riesce a smascherare Achille che si celava in abiti femminili nell’isola di Sciro. Il bando del concorso raccomandava ai pittori di leggere l’Achille in Sciro di Metastasio, cosa che il Fornaroli deve aver fatto. Da qui infatti deriva l’ambientazione della scena in un loggiato aperto, decorato da sculture raffiguranti le imprese di Ercole. Fornaroli inoltre, secondo un carattere proprio della pittura neoclassica, rifiuta di orchestrare la sua composizione in profondità, chiudendo la parte inferiore del loggiato con un pesante tendone e disponendo tutti i personaggi in primo piano, l’uno accanto all’altro, come in una sorta di proscenio. I due protagonisti spiccano al centro del dipinto nei colori sgargianti delle loro vesti, attorniati da una nutrita schiera di comparse.
Ogni figura risulta meticolosamente descritta, profilata da contorni netti, avvolta in vesti panneggiate con cura e ricercatezza. Ciascuna mostra lo studio e la diligenza dell’artista, che vi unisce quanto appreso dall’osservazione delle opere di Gaspare Landi (si osservino soprattutto i volti dei personaggi), e dall’esercizio sui grandi del ’500 parmense, Correggio e Parmigianino. Le vesti di Achille e della figura femminile a destra paiono infatti ispirarsi al panneggio leggero ed elegante del Parmigianino della Steccata, senza riuscire a coglierne l’inquieta ariosità e mantenendo cadenze più pesanti e statuarie, mentre i due putti a destra, nella loro morbida anatomia e nel gioco luminoso dei riccioli, echeggiano quelli di Fontanellato. Particolarmente riuscito appare il piccolo genio funebre con la fiaccola spenta, presagio della tragica fine di Achille. La tavolozza si rifà a quella del maestro Callani, con esiti decisamente più squillanti. Gli Accademici ammirarono le “molte figure ben colorite, e di buon disegno”, le “buone… proporzioni, … le teste in generale… i panneggiamenti e molte pieghe artistamente espresse”, ma constatarono la mancanza di una “seria ponderazione del proposto soggetto” (Pellegri 1988, p. 295). In effetti quella del Fornaroli è soprattutto una carrellata di figure isolate, più giustapposte che connesse, che restano a sé stanti senza dare vita a una narrazione vivace e unitaria.
L’insieme risulta così statico, ancora ingenuo e “un poco incerto dal punto di vista stilistico” (Cirillo – Godi 1979d, p. 38), soprattutto se confrontato con il maturo Riposo durante la fuga in Egitto, datato intorno al 1811 e conservato nella chiesa parrocchiale di Castel Guelfo. Qui le ricerche neomanieriste sul ’500 parmense si fondono sapientemente con l’impaginato neoclassico e l’influenza dello Stile Impero, rivelando le potenzialità di un pittore che solo di recente è stato riscoperto (cfr. Godi 1974, p. XXVIII).