La pittura emiliana 1500-1600

La pittura emiliana 1500-16002023-02-16T11:54:43+01:00

Sala 1

Girolamo Mazzola Bedoli pittore della maniera

Fra i principali interpreti della “Scuola di Parma” della prima metà del Cinquecento Girolamo Mazzola Bedoli esprime una riuscita sintesi tra la pittura di Correggio e Parmigianino e le esigenze di autopromozione del nuovo mecenatismo della corte farnesiana. Il suo stile, a cavallo tra pittura veneta, lombarda e fiamminga, si caratterizza per l’aristocratica preziosità dei dettagli e l’elegante gestualità dei personaggi, elementi comuni sia alle grandi pale religiose che ai ritratti esposti in queste sale. Nella pala dell’Immacolata Concezione, prima sua opera documentata e dipinta per l’altar maggiore dell’oratorio della chiesa di San Francesco del Prato (1533-1538), Bedoli rappresenta una complessa allegoria dell’Immacolata Concezione aggiornata al dibattito dottrinale, dove la Madonna domina la scena nell’alto dei cieli quale mediatrice della salvezza del genere umano. I preziosismi dell’arte di Bedoli esplodono nel dettaglio delle vesti e nella rappresentazione mistica della natura come nel Polittico dell’abbazia di San Martino de’ Bocci, dove la Vergine col Bambino e San Giovannino è immersa nell’incanto dei racemi che accompagnano il reincarnarsi divino della vita in una formula nordica alternativa all’idealismo dell’Italia centrale. Caso a sé è la copia della Madonna della Scodella del Correggio, inquadrata da una cornice dipinta a monocromo con eleganti motivi di gusto classico desunti dalla coeva cultura artistica romana.

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Giovanni Hänninen

Sala 2

Ritratti del Bedoli

Bedoli dipinse anche diversi ritratti fra cui spiccano il collezionista Bartolomeo Prati, la piccola Anna Eleonora Sanvitale, figlia del conte Gilberto poi andata in sposa a un membro della corte ferrarese e molto apprezzata in ambito letterario, e il poeta e cortigiano Luigi Borra, opere ricche di raffinatezze stilistiche e di complessi riferimenti simbolici che contribuiscono a definire la dimensione intellettuale e spirituale del personaggio.

Sala 3

L’eredità del Correggio

Sul finire del Cinquecento il clima artistico di Parma è caratterizzato da un nuovo interesse per l’opera del Correggio. Lo testimoniano le opere di Giovanni Battista Tinti, pittore eclettico vicino alle congregazioni religiose, caratterizzato da un moderato naturalismo che guarda ad Annibale Carracci, al fiammingo Calvaert e, in fine di carriera – come nella piccola Deposizione qui esposta –, alla pittura cremonese. Nello stendardo con il Cristo morto che abbraccia la Croce e nel celebre episodio di Maria Maddalena in casa del Fariseo il ricco bagaglio culturale della pittura parmense si adegua alla semplicità del gusto della controriforma (qui presente nell’influenza dei bolognesi Tibaldi e Samacchini), mentre i colori intensi sono frutto della sensibilità personale dell’artista. La pittura di Pier Antonio Bernabei è caratterizzata da effetti di luce cangiante e chiaroscuro, sui putti graziosi e nelle espressioni dolci che si ritrovano anche nelle scene più drammatiche. Lo stendardo processionale con i Santi Benedetto e Gerolamo in adorazione dell’Eucarestia, preziosa testimonianza della cultura e religiosità locale fra ’500 e ’600, omaggia invece il Parmigianino e il Bedoli della chiesa di Santa Maria della Steccata. Nel San Benedetto che consegna la regola ai santi Mauro e Placido e nella Fuga in Egitto, il manierismo parmense del Cinquecento, prezioso e colorato, vira verso il classicismo dei Carracci. Mauro Oddi, pittore di corte sotto il patrocinio della duchessa Margherita de’ Medici, moglie del duca Odoardo, studiò per sei anni alla scuola romana di Pietro da Cortona: l’influsso del barocco romano, seppur “temperato” dalla tradizione locale e bolognese, si intravede infatti nella pala con i Santi Vitale e Mauro con oranti.

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Giovanni Hänninen

Sala 4

La bottega dei Carracci

Tra la fine del ‘500 e gli inizi del ‘600 nacquero due correnti pittoriche che, contrapponendosi all’eccessivo intellettualismo della Maniera, espressero una nuova idea di pittura ed esercitarono un profondo influsso sull’arte europea. La prima, ispirata da Caravaggio, perseguì una religiosità mistica rivelata da una luce fortemente teatralizzata quale simbolo della grazia e della salvezza divina. La seconda, fiorita a Bologna attorno ad Annibale Carracci al fratello Agostino e al cugino Ludovico, diede avvio a una riforma pittorica fondata sullo studio della natura e dei grandi maestri del Rinascimento, tra cui Correggio. Per veicolare presso il grande pubblico analfabeta del tempo e conteso dal Protestantesimo i contenuti morali della Controriforma, essa si servì del linguaggio semplice e diretto degli affetti, ma con una verosimiglianza tutta nuova capace di stimolare la devozione e il coinvolgimento dei fedeli. Un rimando a queste tematiche unitamente alla ripresa di modelli correggeschi si osserva nella pala di Annibale eseguita per la chiesa dei Cappuccini di Santa Maria Maddalena raffigurante la Pietà con la Vergine e i santi Francesco, Chiara, Giovanni Evangelista e Maddalena. Considerata da Andrea Emiliani l’atto d’inizio della pittura barocca, l’opera è qui esposta per la prima volta con le due tele laterali che l’affiancavano sull’altare maggiore, eseguite dal cugino Ludovico con San Luigi IX re di Francia e Santa Elisabetta. Concesse in deposito dalla Pinacoteca Nazionale di Bologna esse permettono di ricostruire l’impianto decorativo tipico di una chiesa cappuccina. Nella Madonna con il Bambino e santi, Agostino concilia l’osservazione della natura, la formazione parmense con l’influsso dei pittori veneti e uno stile derivato dalla sua attività di incisore. I due grandi teleri di Ludovico con I funerali della Vergine e Gli Apostoli al sepolcro della Vergine appartengono alla maturità dell’artista come evidenziano gli influssi di Michelangelo e le cromie di derivazione veneta.

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Giovanni Hänninen

Sala 5

Bartolomeo Schedoni

A differenza di altri artisti attivi nel ducato, Bartolomeo Schedoni, pittore modenese in servizio dal 1607 presso la corte dei Farnese, esprime un linguaggio più autonomo e originale, in cui si avverte una sintesi delle due grandi correnti della pittura barocca. Oltre all’influsso di Correggio, filtrato attraverso la pittura dei Carracci, si impone la ripresa di motivi caravaggeschi nell’uso della luce e nella gestualità dei personaggi, con un risultato di ineguagliato impatto scenografico ed emotivo. Ad un intervento diretto di Ranuccio I si deve la decorazione pittorica della chiesa nel convento di Fontevivo, importante testimonianza dell’attività caritativa promossa dal duca e della devozione della famiglia Farnese nei confronti dell’ordine dei Cappuccini. Nei dipinti eseguiti da Schedoni tra 1613 e 1614 e attualmente esposti in questa sala, la tradizionale iconografia dei soggetti evangelici dell’Ultima cena, della Deposizione e delle Marie al Sepolcro, collocate originariamente a sinistra e a destra dell’altare maggiore, si rinnova grazie all’originalità dell’impianto e alla intensa gestualità dei personaggi, sottolineata da un abile uso della luce che conferisce alla scena un’espressività fortemente teatrale. La piccola tavola della Madonna col Bambino e San Giovannino, una delle numerose varianti dedicate dall’artista a questo tema, spicca per la sensibilità e la dolcezza che ricorda Raffaello. Il linguaggio pittorico di Schedoni, oltre a prefigurare la sintesi della pittura barocca italiana realizzata con particolare efficacia dalla scuola francese, conquistò decisamente i duchi di Parma, visto che il San Francesco è in realtà una copia dell’opera commissionata a Schedoni dal cancelliere della cittadina modenese di Fanano, ma che il duca Ranuccio Farnese aveva tenuto per sé.

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Sala 6

I caravaggeschi in Emilia

Questo gruppo di tele sono opera di pittori che risentono in modi diversi delle novità portate dall’arte di Caravaggio in un momento cruciale per lo sviluppo della pittura religiosa in Emilia. Evidenti echi caravaggeschi si manifestano nella composizione formale e nell’utilizzo della luce nelle opere realizzate da Leonello Spada tra il 1614 e il 1618, anno in cui il pittore bolognese giunse a Parma su incarico di Ranuccio I per eseguire le decorazioni dipinte del Teatro Farnese. La frequentazione del maestro lombardo durante i suoi soggiorni a Malta e a Roma e il suo carattere tracotante gli valsero addirittura il soprannome di “scimmia” del Caravaggio. Nel quadro con la Cattura di Cristo, fra i più noti di Spada, è rappresentato un campionario di giovani manigoldi, scamiciati o chiusi in corsaletti e cotte di maglia metallica dove le tinte accese e varie mettono in risalto il candido torso di Cristo che emerge da un mantello rosso.

In Giuditta e Oloferne le lenzuola bianche si tingono di sangue mentre lo sguardo spento e la bocca aperta di un grido silenzioso sul volto del generale si rifanno a temi caravaggeschi, come pure le fisionomie, quasi caricaturali nel caso della vecchia domestica. Particolarmente scenografico è il contro-luce generato dal lume di candela nel dipinto con Giuditta che decapita Oloferne di Trophime Bigot, un soggetto assai frequente oltralpe. Sant’Agata, martire vissuta agli inizi del III secolo, è infine protagonista del dipinto di Giovanni Lanfranco, qui rappresentata in carcere nel momento in cui un angelo illumina la figura miracolosa di San Pietro che le risana la ferita sul seno. Il racconto pittorico descritto con un linguaggio narrativo essenziale e toccante risente del naturalismo dei Carracci, che qui si fonde con l’incisiva scelta luministica di derivazione caravaggesca.

Sala 7

Gli Emiliani 1600

Legati alla corte farnesiana sono i tre pittori parmigiani Giovanni Lanfranco, Sisto Badalocchio e Luigi Amidani la cui formazione risente degli esiti artistici dei Carracci. La tela con il Martirio di Sant’Ottavio, realizzata da Lanfranco per il Battistero di Parma al suo rientro da Roma, mostra nella composizione in diagonale del santo in armatura e nel forte controluce interrotto da bagliori improvvisi, uno stile pienamente barocco che ritorna nella Salita al Calvario. Il Paradiso, opera di grande impatto visivo, vanta una composizione a spirale debitrice, anche nelle cromie, degli effetti illusionistici delle cupole del Correggio. I dipinti di Luigi Amidani, la cui breve carriera si svolse tra l’Emilia e la Lombardia, rivelano un artista che guarda alle opere di Schedoni, ma dal linguaggio espressivo autonomo in cui spiccano la morbidezza dei passaggi di luce, i colori non più vividi ma stemperati e l’arrotondamento dei panneggi.

Le opere del pittore parmigiano Sisto Badalocchio risultano da una progressiva sovrapposizione di modelli ripresi da Correggio, dai Carracci e da Schedoni: in San Francesco d’Assisi che riceve le stimmate, il tocco sobrio e intensamente espressivo si contrappone alla luce improvvisa dell’evento miracoloso, alle figure dei putti e al paesaggio in lontananza, sereno e bucolico. La Madonna col Bambino, sant’Eufemia e santi domenicani e la Madonna col Bambino e i santi Mattia e Francesco si rifanno invece allo stile più aggiornato di Lanfranco e di Bartolomeo Schedoni, soprattutto nei colori intensi e nelle ombre trasparenti, mentre la più tarda Deposizione mostra il drammatico contrasto tra luci e ombre tipico del Caravaggio. Testimonianza dei rapporti intensi tra Parma e la Lombardia tipici di questo periodo è lo Sposalizio della Vergine dipinto da Giulio Procaccini per la Basilica della Steccata, dominato dalla contrapposizione tra una luce argentea che illumina le figure e il buio del Tempio.

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Giovanni Hänninen

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