La natura morta e Boselli
La natura morta ebbe notevole fortuna nel Seicento emiliano, grazie alla richiesta crescente di una committenza aristocratica legata ai rituali della caccia. Nel vasto panorama di questo genere artistico, che si differenzia stilisticamente nelle varie scuole europee, si possono qui apprezzare le rustiche composizioni di ortaggi e selvaggina del pittore piacentino Felice Boselli, adatte a ornare le sale da pranzo dei castelli del ducato – la Rocca dei Sanvitale a Fontanellato e dei Meli Lupi a Soragna – mettendo in mostra la qualità delle mense e la fecondità delle terre. Rape, sedani, cipolle, zucche, melograni e cavolfiori si accumulano disordinatamente nelle due scene di mercato esposte, in cui l’aggiunta di figure richiama alla memoria analoghi soggetti cinque-seicenteschi di tradizione fiamminga, ma anche scene di vita popolare molto in voga alla fine del XVII secolo in ambito milanese e lombardo.
Il linguaggio eclettico del piacentino Bartolomeo Arbotori appare più fragile rispetto a quello del suo concittadino, dove la congestione di oggetti incombenti e l’ostentazione paratattica degli alimenti disposti comunica un senso di horror vacui e di algido esibizionismo. Il pittore emiliano Cristoforo Munari, invece, si distingue dai naturalisti italiani coevi poiché, pur amando la verità della rappresentazione, non sacrifica l’armonia della composizione, sceglie accuratamente il proprio repertorio espositivo e desidera conoscere a fondo gli oggetti riprodotti, provocando con la luce eleganti effetti di colore. Mira a un effetto decorativo raffinato ed elegante il Canestro attribuito al pittore francese Nicolas Baudesson, dove i fiori recisi si compongono secondo uno schema più libero e sciolto, le pennellate sono rapide e favoriscono un notevole coinvolgimento spaziale e luminoso.