Il mito di Correggio

Il mito di Correggio2021-03-12T19:03:43+01:00

1. L’Ottocento e il mito di Correggio

Al centro del dispositivo didattico creato in Rocchetta per l’Accademia sotto Maria Luigia, vennero incastonate tre sale che Toschi e Bettoli trasformarono per le grandi pale del Correggio rientrate da Parigi dopo le spoliazioni napoleoniche, facendone strumento di esercizio e ispirazione per gli allievi. Qui trovarono una collocazione intima, in piccoli ambienti chiusi e raccolti, a meno di un metro da terra, da dove intrattenere un dialogo a “tu per tu” con i numerosi copisti. Il nuovo allestimento non costituì solo un aggiornamento di gusto, ma una vera e propria rivoluzione culturale dove l’estasi religiosa del Rinascimento lasciò terreno alla contemplazione borghese, pubblica e al contempo privata, all’interno di uno spazio non più liturgico ma laico che contribuì alla nascita del mito moderno del Correggio, nume nazionale del genio parmense.

In questa sala vennero quindi collocate, a uso di esercizio, due tele provenienti dalla Cappella della famiglia Del Bono sita nella chiesa di San Giovanni Evangelista di cui qui si propone una ipotetica composizione originaria, grazie all’aggiunta della probabile ancona dell’Altare Maggiore, modificata proprio nei primi anni dell’Ottocento e priva della sua pala originaria. Sottratte dalle alte pareti della cappella, le due tele del Correggio sono state così incastonate in cornici decorate a racemi i cui motivi ricorrono nel soffitto in uno stravolgimento borghese della spiritualità rinascimentale che le caratterizzava, tale da giustificare, ancora oggi, la loro collocazione all’interno delle collezioni pittoriche dell’Ottocento parmigiano.

Crediti Fotografici
ph. Giovanni Hänninen

2. Le Pale del Correggio

Come dimostra il quadro di Johann Anton Pock, il rientro a Parma delle due pale del Correggio comportò la loro sistemazione nell’Accademia a beneficio degli allievi. In uno spazio che precedette l’allestimento della Rocchetta e del Salone, in questa rara immagine, la duchessa dispensa premi ai vincitori sotto il nume tutelare del fondatore del Rinascimento emiliano, di cui il ducato di Parma celebra la discendenza. La prima delle due opere, la Madonna di San Gerolamo, collocata in seguito nella bellissima sala ottagona della Rocchetta dove si trova ancora oggi, era stata dipinta per la chiesa di Sant’Antonio, ma venne acquistata nel 1765 da Filippo di Borbone che la trasferì all’Accademia. Rientrata da Parigi dopo le spoliazioni napoleoniche, venne posta in Rocchetta, incorniciata e dotata di maniglia utile a manovrarla perché captasse meglio la luce del sole a vantaggio dei copisti.

Quanto alla Madonna della Scodella, originariamente nella Chiesa del Santo Sepolcro, dal rientro parigino rimase in questi ambienti, e ritrovò a inizio novecento la sua cornice originale. Tra le due pale, espressione somma del realismo magico tipico della scuola rinascimentale parmigiana, si trovano acquarelli di Paolo Toschi, ideatore del riallestimento di queste sale, che riproducono gli affreschi correggeschi del Duomo o di San Giovanni Evangelista. Nel 1862, vennero inviati all’esposizione di Londra a rappresentare la grandezza artistica della nazione parmigiana.

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